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Il Pontefice voleva dire qualcosa di ovvio, che tuttavia non funziona. Ha ragione, ma solo in teoria…che è un po’ il problema di tutte le religioni

“Santo Padre, la capacità di amare non fa distinzioni. Chi ama gli animali sa amare i suoi simili (…). Lo ha detto San Francesco già 800 anni fa. Il santo di cui Ella, Santità, ha scelto di portare il nome perché certo ne condivide l’insegnamento”, così la presidente nazionale di Enpa, Carla Rocchi, ha risposto all’appello di papa Bergoglio, che aveva osato dire: “Quanta gente attaccata a cani e gatti e poi lascia sola e affamata la vicina. No, per favore no!”.

Il ragionamento del papa non fa una piega. Io stessa ho sperimentato un’esagerata attenzione verso il mio animale domestico – un bel cagnone nero – mentre, per esempio, lo lascio legato a un palo per entrare in un negozio. Se è estate, lo trovo attorniato da gente che si domanda se stia soffrendo la sete, che lo accarezza e lo trastulla.

Una volta, d’inverno, sono stata aggredita da un signore che mi accusava di averlo lasciato al freddo. Non mi è mai capitato di vedere qualcosa di lontanamente simile per i tanti esseri umani che vivono h24 su una panchina, o semplicemente – mettiamo – per un anziano in difficoltà a scendere le scale della metro.

Di conseguenza, il pietismo per gli animali domestici (quasi sempre fuori luogo) l’ho sempre considerato devianza: io adoro gli animali, soprattutto i miei, ma poche cose mi disturbano come la tendenza – oggi diffusissima – a considerarli delicati bambini, fragili creature, sacre e pure, da difendere e proteggere.

Semplicemente così non è: chi li conosce sa che cani e gatti hanno i nostri stessi vizi e le nostre virtù, sanno essere meschini e calcolatori, violenti attaccabrighe e sadici assassini (il mio cane è un maschio dominante, per esempio, che adora scatenare risse; e il mio gatto, come tutti i gatti, giocava con la sue prede fino a ucciderle). Eppure qualcosa nella nostra mente, oggi, ci fa disprezzare chi è più simile a noi e ci fa appoggiare sempre e comunque gli animali, con gran daffare della psicanalisi.

Come numerose ricerche – riportate ad esempio qui – hanno notato, e come tutti i giornalisti sanno, una news che coinvolge un cagnolino avrà enorme successo rispetto alla stessa news (poniamo, un incidente) su un essere umano. E molte persone, alla domanda “salveresti un essere umano o un animale?” scelgono la seconda opzione, anche se non si tratta del loro animale. Siamo pazzi? Mah si, direi di sì. Però la nostra è una pazzia comprensibile.

In linea teorica il papa ha ragione: sarebbe più intelligente e vantaggioso, come gruppo, prenderci cura e dare valore a noi stessi, aiutandoci di più per essere a nostra volta aiutati in caso di bisogno. Tuttavia, più le nostre vite si fanno veloci e le nostre città affollate, e più ci sentiamo soli, muti e ciechi come siamo, troppo presi nel vortice delle incombenze. Sappiamo che dovremmo essere più presenti e sensibili, ma non ci riusciamo. Le uniche creature che restano fuori da queste pazze corse sono i nostri animali, che mantengono pochi bisogni e larghi sorrisi: quindi li invidiamo, li idealizziamo e, alla fine, li veneriamo.

La reazione migliore alle parole di Bergoglio, dunque, non credo sia prenderla sul personale, come ha malamente fatto l’Enpa o migliaia di post pieni di rabbia.

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Piuttosto credo che, al massimo, potremmo prenderla a ridere, come ha fatto l’altra metà della rete. Perché sì, mi spiace dirlo, ma il papa ha tanta, troppa ragione (anche se non tutta).

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