Un gatto può cambiarti la vita in soli 15 giorni? Ecco come ci è riuscito King, il mio cucciolo di due mesi e mezzo
Ho adottato un gatto 15 giorni fa.
Da bambino non ho mai avuto un animale domestico a parte le tartarughe e mio padre.
Poi, tra mille paure, l’ho desiderato, e oggi è qui che si sdraia sulla tastiera mentre cerco di scrivere.
Lui si chiama King, è un gatto europeo bianco e rosso, viene dalla campagna e fa parte della terza e ultima cucciolata di Susina, una gatta di campagna che oltre a un nome di battesimo evitabile, di notte ama il calore di una casa e di giorno il divertimento sfrenato dei vigneti.
Dall’amore di un pomeriggio di passione in mezzo a grappoli e raspi, è nato il gatto che mi ha cambiato la vita.
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È un libero professionista
Due cose accomunano me e lui: l’eccesso di peli e la primordiale necessità di essere autonomi.
Se c’è una cosa che ai gatti riesce benissimo, è infatti l’arte di arrangiarsi.
Mangia, beve e va alla toilette dal primo giorno senza che io gli abbia insegnato niente.
Certo, con il distributore di crocchette e la fontanella a getto continuo gli ho illuminato la strada. Ma si è adattato alla mia vita come un calzino seguendo solo l’istinto.
«Bene, adesso cosa faccio?» si sarà chiesto appena uscito dallo zainetto pensato per lui. E tra una crocchetta e l’altra ha trovato senza ansia il suo percorso, le sue abitudini, ciò che lo rende felice.
Mi ha insegnato che urlare e disperarsi serve solo ad attirare l’attenzione.
Fiutare, guardarsi intorno e soprattutto ascoltare, è già parte della soluzione.
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Vuole stare vicino vicino
«Paperissima» e Michelle Hunziker avevano ragione: i gatti, erroneamente considerati animali solitari che disprezzano la compagnia, in realtà sono i mammiferi più simili alle cozze.
Vai in cucina e viene in cucina, vai a letto e viene sul letto, vuoi mandare un messaggio su Whatsapp e vuole mandare anche lui un messaggio su Whatsapp, vai in bagno e si ficca nelle mutande.
All’inizio pensavo fosse solo la ricerca di contatto, poi ho capito che i gatti vogliono fare «team».
Amano vivere il quotidiano con te.
King senza volerlo mi ricorda che è sempre il momento di mollare sulla scrivania il cellulare e non aspettare più notifiche, in una vita che mi vuole «visualizzato e non risposto».
È un dolce «disturbatore» che ci riporta al periodo romantico nel quale due persone nella stessa stanza non si ignoravano.
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La casa, grazie a lui, ora è gigante
Vivo in 55 metri quadri, ma da quando ho lui in casa, sento di averne 200.
Da quando è qui il mio Harry Potter dall’aria più simpatica, ho scoperto posti che pensavo non ci fossero e trovato cose dimenticate nel tempo.
Nell’ordine ha fatto spuntare: la garanzia del MacBook Pro, 12 euro in monete, un pupazzo vinto alle giostre (adesso è il suo preferito con cui giocare), una chiave di casa dispersa da mesi e un divertentissimo passaggio sotto il letto dove latitavano calzini spaiati.
Ho messo tre tiragraffi in casa, ma il suo Everest da scalare preferito è comunque il mio divano (RIP).
Ho comprato un nascondiglio bellissimo, ma il porta scarpe è la sua meta preferita per non farsi trovare.
La mia casa, per magia, non è solo più grande, ma anche più ordinata, graffiata ma bella.
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La tenacia paga sempre
Nei primi quattro giorni, ho ripetuto la parola «No!» migliaia di volte.
Forse erano solo poche decine, ma nel mio cervello ne ho sentiti milioni.
Capite anche voi che un gatto di due mesi abituato a fare Spiderman sugli alberi, arriva in un posto civile e pensa di essere Tarzan.
Così, con una pazienza tantrica gli ho insegnato le mille cose che può fare e quelle cinque o sei che non possono essere fatte per la sua incolumità fisica e per la mia mentale.
Come suggerisce la guida «I primi passi del tuo gattino» ma anche un semplice dizionario, il gatto non è un cane, quindi non agirà seguendo sempre i tuoi comandi, ma si muoverà in base all’istinto, il fiuto e i ricordi.
Mi ha fatto capire che nella vita bisogna fare sempre dei compromessi.
Mi ha fatto capire che insistere per ottenere traguardi ragionevoli, porta spesso i suoi frutti.
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Chi dorme non piglia pesci
C’è una fascia temporale che va dalle cinque del mattino fino alle sei nella quale King decide che è ora di svegliarsi.
Tutti, a ogni costo.
Mi raccontavano che il mattino, i gatti (specie quelli affamati) hanno l’usanza di venire a «rompere» dandoti zampate sulla faccia.
Ma dato che «Ogne scarrafone è bell’ a mamma soja», il mio ha scelto una strategia ancora più divertente: mordermi i piedi.
Quando ho adottato questa palla di pelo sognavo dolci risvegli, leccatine da cartone giapponese, io che lo abbraccio come Sailor Moon fa con Luna.
No.
Mi morde alluci e caviglie finché non lo calcolo.
Avrà fame? No. Avrà voglia di giocare? Giusto un po’. Avrà solo voglia di svegliarmi? Oh, sì.
Da 15 giorni mi alzo sempre presto, anche quando non serve.
Alla fine, tra un «chi me l’ha fatto fare» e l’altro, faccio molte più cose.
«Ma sono ancora le 9 del mattino?» mi sono chiesto domenica scorsa, sveglio dalle sette.
Grazie a lui, morto di sonno, alla fine vivo di più.
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È più pulito di me
Arrivano le crocchette, le mangia, sale sul divano mentre guardo la quinta stagione «Orange is the new black» su Netflix, mi alita in faccia quel concentrato di manzo e pollo dall’odore nauseante e mentre finisco la mia pizza unta nel cartone, lui si mette in un angolo, fiero come un trofeo, a pulirsi il muso e i baffi.
Lo fa non solo con la lingua, ma anche con le zampe. Gli manca solo una salvietta al limone.
La profezia del gatto rognoso di Phoebe di «Friends» non si è avverata.
Certo, a parte quando raspa sulla lettiera e manda la sabbia addosso pure al vicino di casa, è un campione di igiene.
Mi ha insegnato che essere schizzinosi, anche un po’ verso se stessi, è buona norma per sentirsi meglio.
Ti ricorda che non bisogna lasciarsi andare, anche quando non hai tempo ed è più difficile.
Casa mia, con un gatto piuttosto scatenato tra le mura, per assurdo è più pulita.
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Finirà per dominare il mondo
«No figlio mio, ti prego, non farlo!».
Sono queste le parole che mia madre con volto truce e stizzito ha pronunciato all’inizio di maggio, quando ormai la mia intenzione stava diventando una scelta.
Due mesi dopo è lei stessa che si offende se King non le lecca le mani facendo le fusa.
Mio padre, come da copione, non mi chiede più come sto, ma vuole avere solo sue notizie.
Visto che i miei sono molto permissivi, a loro non fa mancare nessuna carineria.
Se io sono un padre severo, i «nonni» lo trattano con i guanti.
Bruciando tutti i libri di pedagogia, lo viziano guidati solo dall’amore.
Questa furba creatura aliena sa già da chi deve andare per ottenere quello di cui non ha bisogno.
Se essere ruffiani è un’arte, i gatti sono grandi artisti. Mi ha insegnato che con le fusa si ottiene tutto. Purrr.
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Sono il suo gioco preferito
Quando si cresce, l’ufficio ci rende un po’ freddi.
Pensiamo di vivere per il lavoro, ritagliandoci poco spazio per gli affetti tra mille rotture di scatole.
Mi è capitato di sentirmi inutile nei giorni «off» e nei weekend, precipitando in un burrone degli adulti fatto di responsabilità, lotta per la sopravvivenza e un futuro che non vedi manco con gli occhiali.
Giocare (ai videogiochi, principalmente) stava diventando solo un attaccamento verso la mia parte più infantile.
In uno schiocco di dita, con lui sono tornato dritto all’asilo con il Plasmon in mano, tra palline che saltano, lacci che sembrano code di topo e mobili che diventano trapezi circensi.
Se lo lasci giocare, lui continuerà a farlo da solo.
Ma si capisce subito dal suo entusiasmo che la pallina la vuole lanciata dal suo papà e che quei dolorosi baci a forma di morsetto li vuole dare a te e a nessun altro.
In sintesi: dedicare tempo a chi amiamo (non solo al mio King) è molto importante. Anzi, fondamentale.
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L’amore è una cosa semplice
Avere un gatto di per sé non è niente di così speciale.
Ma come tutte le cose in apparenza banali della vita, acquisiscono il significato che tu gli dai, in base a chi sei e a ciò di cui hai bisogno.
Se pochi giorni fa mi dicevano «Diventerai una gattara!» e io ruotavo gli occhi in gesto di dissenso, oggi King si addormenta sul mio fianco con la zampa ferma sulla mano e quel niente mi commuove.
Alla fine è come avere un bambino, con la differenza che quando un gatto morde e graffia, ti farà molto meno male.
L’ho chiamato King perché è il personaggio di uno dei miei cartoni giapponesi preferiti, ma anche perché il re è il pezzo più importante nel gioco degli scacchi.
Nelle nostre vite che sembrano molto complicate, sapere di avere per le mani una pedina che si muove senza troppe regole, da proteggere e difendere, mi fa stare bene.
Scusate questo finale inaspettato, ma il gatto alla fine non mi ha insegnato proprio niente.
Però mi ricorda continuamente che tra mille mostri si può scegliere di essere vivi, vivaci e che così devo rimanere.
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