Cambiare lavoro non basta. Cambiare partner non basta. Cambiare macchina, telefono, vestiti, appartamento non basta. Non basta nemmeno essere così flessibili da toccare la punta dei piedi senza sforzo o stare in verticale sulla testa per cinque minuti. I grandi impegni per migliorare la vita contano, ma non sempre sono ripagati con altrettante dosi di serenità. Eppure cose piccole fatte con grande presenza aiutano a coltivare ed espandere momenti di benessere, soddisfazione e felicità. Soprattutto nutrono un contatto con se stessi e un senso di partecipazione al presente che possono trasformare circostanze complesse in occasioni di delizia spontanea. Inviate i vostri segreti per vivere meglio all’indirizzo [email protected]. Assieme ai piccoli trucchi di felicità istantanea, raccontateci chi siete, mandateci una foto e il vostro profilo di guerriero cittadino del benessere. Ogni settimana selezioneremo tre piccoli spunti per coltivare vitalità e apertura mentale anche nelle giornate più impegnative e stressanti. L’obiettivo è creare una community di persone legate da azioni, pensieri, alimenti, tecniche di yoga lampo, meditazione, respirazione e altre semplici strategie per chi non ha tempo, ma tanta voglia di migliorare il proprio stato mentale, fisico ed emotivo. Leggere e condividere diventa così uno strumento per divertirsi, coltivare ironia e distacco e migliorare la qualità delle nostre giornate.
È lo yoga racchiuso nelle mani. Le mudra sono di fatto posizioni e intrecci di falangi e polpastrelli che stimolano i punti riflessi per calmare o attivare il sistema nervoso, quello endocrino, gli organi interni e il nostro stato mentale ed emotivo. Praticati in Asia da oltre cinquemila anni, si rivelano quanto mai attuali per spostare l’attenzione al nostro corpo e al respiro per un paio di minuti. Facili da praticare ovunque, garantiscono un immediato pieno di vitalità e benessere: provare per credere. (La nostra guida)
I gesti ripetuti sono un’arma a doppio taglio. Se da un lato offrono una sensazione di sicurezza, dall’altra è una tentazione troppo grande inserire il “pilota automatico” e procedere dimenticandoci di esistere. Trasformare azioni quotidiane in un piccolo rituale è un grande segreto di presenza interiore. Quando il mattino diventa un termometro di svogliatezza concentriamoci sull’inaspettato, cosa ci porterà il nuovo giorno? Forse è tutto lì fuori dalla finestra o dentro le mura di casa, non importa. Coltiviamo apertura e aspettativa. E la sera quando ci aspetta l’intimità del sonno non cambia molto: anche il periodo “oscuro” delle nostre giornate o i sogni racchiudono sorprese inaspettate. Prepariamoci.
La strada per arrivare in ufficio, a scuola, al mercato, all’edicola o a casa di parenti, amici, datori di lavoro. Esiste un percorso ricorrente nella nostra vita. Cambiamolo! Quanti modi diversi esistono per arrivare in uno stesso posto? Quanti ne possiamo inventare, scoprire, teorizzare o mettere in pratica? Non accontentiamoci sempre delle stesse soluzioni: una strada alternativa può nascondere meraviglie nascoste.
Questo esercizio inizia quando apriamo gli occhi al mattino: qualunque cosa vediamo, chiunque incontriamo, qualsiasi cosa facciamo, è come se accadesse per la prima volta. Come sarebbe svegliarsi nella nostra stanza se fosse un posto sconosciuto? Quali particolari noteremmo? Cosa abbiamo smesso di osservare? Lo stesso vale per compagni, mariti, mogli, figli: si tratta di “persone” prima di tutto. Che sensazioni ci trasmettono, abbiamo notato davvero l’andatura del passo e il colore dei capelli, i tratti del volto, le espressioni e lo stile nell’abbigliamento? Non è facile mantenere alta la soglia di attenzione per tutto il giorno, ma lo stesso metodo può essere applicato in ufficio, sul posto di lavoro, nei luoghi che frequentiamo e abitiamo. Una strategia per confondere il senso di abitudine, che non ha niente di male in sé, ma a volte contribuisce a innescare il pilota automatico. Un senso di stordimento che non ci permette di assaporare fino in fondo persone e luoghi. Coltivare la totale presenza interiore prepara il terreno a un discreto potenziale di felicità.
Il suggerimento arriva da Alessandra, una signora di 51 anni che vive con i suoi due figli. E quanto le diamo ragione! La danza è il miglior modo per risvegliare il corpo, migliorare la circolazione, attivare entrambi gli emisferi cerebrali e produrre endorfine. Ci aiuta a scuotere i pensieri notturni e mescolarli con i primi diurni. Ballare diventa un check up immediato sulla nostra situazione fisica, mentale ed emotiva. Bastano cinque minuti per rendere più lucide le nostre aspettative e più determinate le azioni della giornata. Nelle antiche comunità, quando una persona si ammalava, la prima domanda dello sciamano guaritore era: “quando hai smesso di ballare?”. Una contemporanea sciamana metropolitana di nome Gabrielle Roth è diventata famosa per aver creato un metodo di meditazione in movimento chiamato 5 Ritmi. Nel suo libro Mappe dell’Estasi ci spiega: “La danza è la strada più veloce e diretta verso la verità, non una di quelle grandi verità che appartengono a tutti, più di tipo personale, scendi per terra. Una verità del genere: cosa-mi-succede-in-questo-momento”.
Il nostro modo di percepire i colori è di per sé un meccanismo affascinante. Una piccola grande magia che non ci dovremmo mai stancare di onorare. Non serve essere esperti di cromoterapia né conoscere la simbologia dei colori, se poi non siamo in grado di apprezzare le mille sfumature tra cui ci muoviamo ogni giorno. Il consiglio allora è di celebrare il colore. Cercarlo e “ringraziarlo” per tutte le volte in cui cattura la nostra attenzione, distogliendoci dal resto e regalandoci un momento di puro presente. Mettendo insieme uno scorcio di cielo, un lenzuolo colorato steso alla finestra e il cappello di un passante, il nostro tran tran quotidiano può diventare una specie di tavolozza. Un giorno i nostri occhi si soffermeranno di più sul blu, un altro giorno saranno rapiti da un giallo splendente. Anche questo è un modo di capire meglio come stiamo. Come diceva Paul Klee, “un occhio vede, l’altro sente”. Provate a chiedervi che colore vorreste essere oggi, e fatevi la stessa domanda tra una settimana. Probabilmente la risposta non sarà la stessa.
Il tempo è davvero un bene prezioso, soprattutto se associato alla dedizione e a una certa capacità di concentrazione. Tre ingredienti perfetti per materializzare un regalo da donare a una persona cara. Proviamo a riscoprire il piacere di compiere un’azione semplice, come preparare un dolce, dei biscotti, costruire un oggetto, scolpire, plasmare la creta o dipingere un quadro, concentrando le nostre energie nei confronti del destinatario del dono. Se poi mentre lavoriamo aggiungiamo l’ascolto del proprio respiro e la consapevolezza delle sensazioni nel corpo, del calore sviluppato nelle mani, faremo certamente del bene a chi riceve le nostre attenzioni, ma anche e soprattutto a noi stessi. Tornare al lavoro manuale è terapeutico di per sé, dedicare agli altri tempo e attenzione è gesto potente, creativo e davvero poco dispendioso. La soddisfazione di veder nascere qualcosa di materiale e tangibile attraverso le nostre mani è impagabile.
Quando si parla di emozioni, spesso è meglio una parola in più che una in meno. Manifestare un pensiero d’affetto è un gesto generoso non solo verso il destinatario, ma anche verso noi stessi. Che sia amore, affetto, stima o sostegno, esprimere quello che si prova è un modo di dare importanza, allo stesso tempo, agli altri e alle nostre emozioni. Una frase ascoltata per caso sull’autobus vi fa venire in mente un amico lontano? Il ricordo di una gaffe di vostra sorella vi regala un sorriso improvviso? Non perdete l’occasione per dirlo – con una telefonata, un messaggino sul telefono o davanti a un bicchiere di vino, se si può. Le parole, diceva qualcuno, sono importanti e non costano nulla. Oltre a regalare un sorriso a voi, potrebbero portare un raggio di Sole nella giornata di qualcun altro. Il consiglio, dunque, è molto semplice: provare a non essere avidi nelle proprie dimostrazioni d’affetto. Praticare quella gentilezza che consiste nel riconoscere l’altro e nel condividere. A tal proposito consigliamo a tutti una lettura: il discorso che lo scrittore americano George Saunders, autore di Dieci Dicembre, ha tenuto ai laureandi della Syracuse University del 2013 (pubblicato integralmente sul blog culturale di Minimum Fax). Dato che secondo la mia opinione la vostra vita sarà un viaggio che vi porterà ad essere più gentili e più amorevoli, sbrigatevi. Fate presto. Iniziate subito. In ciascuno di noi c’è un equivoco di fondo, un vero malessere in verità. Si tratta dell’egoismo. Ma la cura esiste. Siate quindi gentili e proattivi e addirittura in un certo senso i pazienti di voi stessi – cercate le medicine più efficaci contro l’egoismo, cercatele con tutte le vostre energie, per tutto il resto della vostra vita.
Svegliarsi al mattino e immaginare di entrare nella propria vita onirica è un esercizio molto interessante: quando scatta la sveglia, proviamo a pensare che sia proprio quel suono a introdurci in un mondo di sogno abitato da familiari, amici, incontri e colleghi di lavoro. Percepire le proprie esperienze quotidiane in tutta la loro forza emotiva, ma con il distacco associato all’idea che in fondo quella che viviamo non sia la realtà definitiva, aiuta a migliorare la visione d’insieme, a non farsi travolgere dalle situazioni e a trovare la soluzione più adatta alle questioni di ogni giorno. La traslazione interna di 12 ore, può essere praticata anche la sera quando ci prepariamo al sonno. Addormentandoci proviamo a coltivare la sensazione che il riposo, le esperienze oniriche e i fantasiosi viaggi mentali siano la nostra realtà.
Gli spostamenti per la città, sia in bici sia a piedi, diventano una preziosa occasione per praticare meditazione in movimento, ci racconta Silvia Brambilla, che insegna yoga e meditazione da 13 anni. “Indipendentemente dalla meta non cammino e non pedalo per arrivare da qualche parte, ma semplicemente per camminare o pedalare, lasciando che l’azione muscolare entri nel mio raggio di consapevolezza, così come l’eventuale cambiamento del ritmo respiratorio come conseguenza di un’accelerazione”, spiega Silvia. I suoni della città, gli odori, i mutamenti spaziali, paesaggistici, le presenze nel campo visivo ed uditivo, il senso del tatto (le mani sul manubrio, i piedi sui pedali): tutto diventa oggetto di consapevolezza. È attenzione intenzionale non giudicante, è esserci al 100%. Senza “Mi piace” o “Non mi piace”. Resta solo la bellezza del momento dopo momento, dell’aprirsi al mondo con fiducia.
Sembra una tecnica messa a punto per le feste. Eppure è stata proposta e resa popolare da Jon Kabat-Zinn, professore emerito in medicina presso l’Università a scuola medica del Massacchussets. Il suo programma di mindfulness per la riduzione dello stress, che propone in maniera laica tecniche millenarie di yoga e meditazione buddhista, è ora praticato in ospedali e centri di salute mentale in tutto il mondo. Le evidenze scientifiche che riguardano il miglioramento di casi molto seri di depressione, una più veloce guarigione dei pazienti da molte malattie e la diminuzione di farmaci e antidolorifici assunti, hanno convinto istituzioni pubbliche e private ad adottare il suo metodo in tutto il mondo. Ecco una delle tecniche di meditazione più semplici e adatte ai principianti. È tratta dal libro Mindfulness: an eight week plan for finding peace in a frantic world, di Mark Williams, Danny Penman e Jon Kabat-Zin. Scegli della cioccolata, meglio se di un tipo che non hai mai assaggiato prima o non mangi da molto tempo. Può essere amara, dolce o alle nocciole, non importa. La cosa fondamentale è che non sia un sapore a cui si è già abituati. Cominciamo con lo scartare il pacchetto usando i nostri sensi: la dita sul cartone, poi sulla carta stagnola più morbida o la plastica. Proviamo a percepire l’odore del contenuto, non appena aperta la confezione. Quale messaggio arriva alle narici? Sprofondiamo nella sensazione dell’aroma e osserviamo il colore, la forma, le sfumature del cioccolato tra le nostre mani. Ascoltiamo il suono della tavoletta mentre ne fratturiamo un pezzetto e lo mettiamo in bocca. Quanta forza abbiamo calibrato tra le dita? Tratteniamo il cioccolato per qualche istante sulla lingua senza masticarlo, percepiamone il gusto, la consistenza e il nostro respiro mentre assaporiamo questa spezia pregiata. Nella cioccolata sono comprese oltre 300 sfumature di sapore, quante ne percepiamo in questo presentissimo atto di lussuria gustativa? Cerchiamo di notare anche se la mente tende ad abbandonare la situazione presente o è totalmente assorta dal lento sciogliersi della miscela di cacao sulla lingua. Quali pensieri raggiungono la nostra mente? Quali azioni il resto del corpo? Mentre assaporiamo questa delizia, come si sentono e in quale posizione sono i nostri piedi, le mani, il busto e le gambe? Se la mente ci abbandona seguendo altri pensieri, riportiamola gentilmente al presente. Quando la cioccolata si è sciolta completamente, deglutiamo deliberatamente e ripetiamo l’intero procedimento se serve. Come ci sentiamo alla fine di questo rituale dei sensi? Notiamo una differenza nel modo di assaporare la cioccolata e nelle reazioni fisiche e psicologiche? Questo frammento di cioccolata ci sembra forse più buono o diverso da tanti altri in passato? Portare attenzione alle azioni presenti, al nostro modo di percepirle e al respiro è di per sé una tecnica di meditazione. Guidare dolcemente la mente alla totale presenza mentale è una delle fondamentali arti di felicità.
Simonetta scrive da Roma per regalarci uno dei gioielli del Pranayama, ossia della tecnica di respirazione yoga. È fondamentale infatti nelle consuetudini kundalini, così come in molti altri stili di pratica orientale, riequilibrare la parte destra e sinistra del corpo, che corrispondono in maniera speculare agli emisferi cerebrali. Una maggiore flessibilità e capacità di spostamento tra la parte maschile e femminile della nostra personalità, così come tra quella razionale e creativa, tra il calcolo e l’intuito, può essere coltivata anche attraverso azioni semplici come il respiro. Portare concentrazione e intento nei confronti dell’aria che entra ed esce dal corpo non solo aiuta a ossigenare l’intero organismo, ma anche a liberarci dai pensieri ossessivi, dalla pigrizia mentale e dalle tossine accumulate durante il giorno. Ecco la semplice tecnica proposta dalla nostra lettrice. Inspirare ed espirare con energia per 20 volte attraverso la narice sinistra, tenendo la destra saldamente chiusa con il pollice della mano destra. Quindi alternare la narice aprendo la destra, mentre si tiene chiusa la sinistra con il mignolo della stessa mano. Al termine respirare di nuovo a pieni polmoni con entrambe le narici: l’esercizio è ancora più efficace se praticato fuori casa e a contatto con la natura.
Rispondere con amorevole ironia a piccole “provocazioni” verbali. Monica Cantoni è naturopata e insegna kundalini yoga a Roma. È suo il consiglio zen di esercitarsi a non reagire in modo eccessivo alle quotidiane provocazioni verbali. Troppo abituati a lottare per essere ascoltati e far rispettare il senso di giustizia interno, può succedere di reagire bruscamente a parole fraintese o non così offensive. Non possiamo prevenire i comportamenti degli altri, ma interiorizzare una situazione di conflitto minimo prima di sferrare il contrattacco è certamente un risvolto positivo nella coltivazione del nostro carattere. “A chi non è capitato di vedere il volto di una persona amica, amata, conosciuta o sconosciuta, dall’espressione contratta e giudicante trasformarsi come per incanto in un ampio e rilassato sorriso?” Tutto questo è possibile grazie a una nostra risposta ironica, amorevole e sdrammatizzante. E non c’è dubbio che un piccolo sforzo è ripagato da grande soddisfazione miglioramenti tangibili nelle nostre relazioni. Monica ci esorta ad “allenarci” in questa pratica come si trattasse di uno sport. “All’inizio è meglio di scegliere situazioni non troppo impegnative dal punto di vista emotivo- spiega- ma con il tempo e dopo i primi “successi” diventa più facile trasformare in positivo anche l’atteggiamento più arrogante, freddo e diffidente”. Provare per credere.
Non è facilissimo. La tentazione del pollice sul telecomando, smartphone e palmare è stata studiata in maniera scientifica da geni del marketing, e ne siamo quasi tutti vittime più o meno consapevoli. Ma quando arriva l’ora di rallentare ed entrare nel tempo del riposo, nulla concilia meglio il sonno del non farsi distogliere dalla comunicazione passiva dei nostri dispositivi elettronici. Prepararsi con attenzione una tisana, scambiare qualche parola con i familiari o il partner, un buon libro, o ancora meglio pochi minuti di meditazione per liberare la mente dal traffico quotidiano di pensieri automatici, sono un vero toccasana per la salute. La sollecitazione elettronica non aiuta a rilassarci, stimola in maniera eccessiva il sistema nervoso e divora il tempo senza che ce ne accorgiamo. La tecnologia offre oggi strumenti meravigliosi di lavoro, comunicazione e intrattenimento. Privarcene un’ora prima del sonno per apprezzare il presente è un’azione eroica ed estremamente saggia.
Luca Puccillo pratica Hatha Yoga da quasi due anni e ci segnala una respirazione molto tonica e potente il cui nome sanscrito è Kapalabhati, che vuol dire “cranio lucente”. Questa tecnica tonifica il muscolo principe della respirazione: il diaframma, che nel torace separa i polmoni dagli organi interni. Kapalabhati permette inoltre un ricambio totale dell’aria dei polmoni e una pulizia di tutte le vie respiratorie superiori. Come si fa? È molto semplice, da seduti si inspira profondamente e poi si tenta di far uscire più aria possibile dal naso con un colpo solo, il più velocemente possibile. Quindi si riprende aria rapidamente e si fa uscire di nuovo con forza. Non si riesce con questa tecnica a espirare tutta l’aria con un solo colpo: la pratica assomiglia a piccoli colpi che partono dalla pancia e fanno uscire l’aria dal naso. La respirazione può apparire superficiale e la sensazione è quella di sentire dei colpetti alla base della nuca e un senso di frescura lungo tutte le vie respiratorie superiori. All’inizio si può partire con soli 30 secondi e si consiglia di non superare in ogni caso i 5 minuti. Kapalabhati è annoverata tra le tecniche di purificazione del corpo, come descritto nei testi sacri del Gheranda Samhita e Hatha Yoga Pradipika, e di Pranayama (tecniche di respirazione). Grazie a questa pratica si realizza un completo cambio di aria all’interno dei polmoni, si purificano le vie nasali, si ossigenano gli organi interni e si tonifica la fascia addominale. Si ottiene inoltre una maggiore chiarezza mentale.
Stephany Item è un’italiana che vive a San Diego e scrive dalla California. Per lei trascorrere il tempo con i bimbi è un’aspirazione, una gioia profonda e un lavoro: dall’intrattenere e insegnare ai vivacissimi alunni delle scuole elementari, fino ad assistere e accompagnare in un percorso di evoluzione le piccole anime i cui pensieri ed emozioni si schiudono al mondo in forme diverse e spesso difficili da capire. Un processo mentale e comportamentale chiamato autismo. La sua esperienza insegna. Non serve essere madri, padri o fratelli maggiori. Trascorrere tempo con i più piccoli significa assaporare un concentrato di energia e felicità immediata. I bambini ci costringono a portare attenzione al presente, senza lasciare spazio a distrazioni tecnologiche o televisive. Alimentano la parte più infantile di noi e ci costringono a muoverci, ridere, pensare e agire come dei bimbi. Un atteggiamento e una genuinità con cui osservare il mondo la cui potenza non dovrebbe mai essere dimenticata. Trattamento da somministrare almeno una volta a settimana per un massimo di più volte al giorno.
Riusciamo a stare un’intera giornata senza parlare male di qualcuno? Nessun giudizio, nessuna forma di maldicenza, nessuna derisione o svalutazione. Neutralità assoluta, sincera. Oppure sfoghiamoci esprimendo liberamente lodi, esaltazione e affetto per qualcuno distante. A patto che siano sinceri, niente falsità. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Parlare male degli altri è uno dei principali sport praticati al mondo. Serve a coprire le proprie debolezze, a sentirsi integrati o addirittura migliori degli altri e creare fazioni in ufficio, a casa, a scuola, nei bar come nei campi sportivi. Un impiego (e spreco) enorme di tempo ed energie. Proviamo a non scaricare inutilmente le nostre batterie interne in questo genere di attività. Se un giorno intero è troppo difficile, tentiamo con mezza giornata, due ore, mezz’ora. Dieci minuti? Non importa. Esercitandoci ad abbandonare i pensieri su chi non ci va a genio acquisteremo in energia e buonumore. Per non parlare del fatto che la maldicenza si appiccica: chi ne è oggetto la percepisce o peggio ancora modifica le relazioni e i comportamenti reali. Il silenzio è d’oro. Sempre. Ma soprattutto se non riusciamo ad alimentare il nostro eloquio con parole spontaneamente positive.
Nel tran tran generale può capitare di farsi sopraffare dai doveri, piuttosto che dai piaceri. Dimenticando che essere gentili con se stessi non è meno importante che esserlo con gli altri. Spesso non è facile individuare delle priorità nella lunga lista delle “cose-che-vorrei-fare-ma…”. Molto dipende dalle ragioni di quel “ma”: se si tratta di voler andare alle Hawaii ma non avere i soldi è un conto, se si tratta di voler intraprendere un percorso (meditativo, artistico, sportivo che sia) è un altro. Quante volte diciamo di voler fare una cosa ma di “non avere il tempo”? E di chi è il nostro tempo, se non nostro? L’abitudine a barricarsi dietro questa motivazione può essere pericolosa: perché il rischio, alla fine, è di perdere di vista ciò che ci fa davvero bene. Il consiglio dunque è molto semplice: provate a isolare dal resto qualcosa che davvero vi piacerebbe fare, ma che non avete mai trovato il tempo (o le energie) per fare. Può trattarsi di piantare dei bulbi di tulipano o di concedersi un concerto di musica jazz, o ancora di andare a visitare quel parco o quella mostra che “da tanto volevamo vedere ma…”. Se pensate sia utile, scrivete una piccola lista sulla vostra agenda o su un quaderno. E poi fate in modo di regalarvi questi piccoli lussi, almeno uno a settimana. Perché il tempo, volendo, c’è, c’è sempre.
Cos’è l’avventura se non il vivere qualcosa d’inaspettato? Allora attrezziamoci per scardinare la routine, almeno ogni tanto, e organizzarci a una dose di sincera meraviglia nei confronti di esperienze nuove. Un ottimo esercizio in questo senso è andare al cinema senza sapere quale film è in programmazione. Decidiamo un orario e rechiamoci al multisala o – perché no? – anche alla tradizionale sala cinematografica con un’unica scelta. Gustiamoci l’esperienza senza preconcetti: positiva, mediocre o sgradevole che sia, viviamola come un esercizio del presente. Potremmo scoprire dei gioielli inaspettati. Programmare le nostre giornate, così come le nostre vite, offre indubbiamente degli aspetti positivi, ma il rovescio della medaglia è trovarsi a volte incastrati in situazioni in cui non ci riconosciamo più, che portiamo avanti per dovere o senso di colpa, più che per scelta. Non solo, quando non lasciamo spazio e tempo all’inaspettato chiudiamo la porta a un potenziale cambiamento positivo, all’imparare qualcosa di nuovo, insomma ad aprirci e accogliere nuove possibilità di pensiero e azione. In fondo nella vita molto poco è controllabile, allora perché non allenarci a vivere il presente per quello che è, senza il bisogno di programmare la realtà per adattarla alla nostra personalissima visione di come le cose dovrebbero essere? Proviamo a dare fiducia agli eventi, per una volta, al messaggio recondito che quel film sconosciuto potrebbe avere in serbo per noi. Osserviamo con curiosità quello che il destino ci porta. Ci guadagneremo in libertà, energia, interesse per la vita e per gli altri. Le avventure non sono mai noiose.
Tra i segreti di felicità di Alessandra, che ha 51 anni e due figli, troviamo il dedicarsi un massaggio con olio profumato. Da sempre gli esseri umani hanno utilizzato il tocco delle mani per ritrovare equilibrio, per celebrare un rituale iniziatico durante le fasi di transizione della vita o prima di momenti importanti, per comunicare con il prossimo e rinsaldare i rapporti. Oggi regalarci un massaggio può sembrare un lusso superfluo. Troppo spesso è la nostra mente a procurarci lo stipendio a scapito del fisico, e questo può creare un senso di separazione interno. Non andrebbe sottovalutata l’immediatezza con cui un massaggio può riportarci a godere del presente, attraverso la piena consapevolezza delle sensazioni corporee. Che sia ayurvedico, bioenergetico, rilassante californiano o l’ondeggiante lomi lomi praticato dalle tribù hawaiane, il massaggio ci aiuta a lasciare andare le tensioni accumulate nel corpo da pensieri, emozioni, vita troppo sedentaria o al contrario iperattiva. Esperienze che si trasformano in inconsapevoli contratture muscolari e insolite posture. E se proprio non possiamo permetterci di sottoporci a un trattamento settimanale o mensile, impariamo qualche tecnica di automassaggio, scegliendo un olio con la nostra fragranza preferita. Dedicare pochi minuti alla consapevolezza del corpo offre risultati immediati.
Proviamo ad aprire il nostro armadio e a chiederci quanta parte di ciò che c’è dentro ci serve davvero. Poi proviamo a fare lo stesso con lo sgabuzzino, la cucina, il salotto, il bagno, la camera da letto e pure il garage e la cantina, se ce li abbiamo. Vi sorprenderete da soli dell’enorme quantità di oggetti di cui davvero non avete alcun bisogno. Scarpe scomode che avete messo un paio di volte appena, vestiti che tenete lì in attesa di perdere quei 2-3 (5?) chili accumulati negli anni, l’enorme album di foto regalatovi da vostra zia per la laurea e mai-mai riempito. Per non parlare della cucina, dove si alternano porcellane e futuristici strumenti entrambi inadeguati al vostro stile basic. Liberarci dell’inutile e di ciò che non ci rispecchia più è un passo importante verso il cambiamento. È un modo per sentirci più liberi e più leggeri e fare spazio nelle nostre vite. Senza contare che gli oggetti dei nostri “noi passati” possono servire a qualcun altro e conoscere così una nuova vita. Possiamo regalarli a una persona cara, darli in beneficenza o metterli in vendita. L’importante è ricordare che disfarsi dell’inutile è un regalo, in primo luogo, verso noi stessi.
Il modo in cui ci alziamo dal letto e salutiamo l’inizio di un nuovo giorno dice molto di come stiamo. Quando si deve essere al lavoro alle 7 del mattino non è facile fare le cose con calma e godersi la magia del risveglio. Eppure, i primi attimi della giornata possono influenzare molto la nostra capacità di cavalcarla… come fosse un’onda. Bastano pochi accorgimenti per trasformare le nostre levatacce in momenti di consapevolezza. Innanzitutto scegliere un suono “amico” come sveglia, magari un cinguettio d’uccelli, una suoneria marina o qualunque melodia sia giusta per noi. Restare a letto qualche minuto in più per stiracchiarci a mo’ di gatto può diventare una piccola coccola, a cui aggiungere la ciliegina sulla torta: strofinare contemporaneamente i palmi delle mani e le piante dei piedi, così da riscaldare gli arti e chiamare a raccolta le energie. Poi, mentre svolgiamo tutte le attività di routine (colazione, doccia, vestizione e così via), proviamo a inserire qua e là qualche respiro più profondo. Con una certa sorpresa, a poco a poco ci accorgiamo che è possibile fare tutto quello che facciamo di solito – impiegando lo stesso tempo – senza stare in apnea, ma godendoci ogni respiro. Con questo spirito anche l’uscita di casa – magari al freddo, in motorino – risulterà meno ostica. E potrebbe persino succedere di sentirsi fortunati nel vedere sfumature di un’alba che le persiane chiuse avrebbero tenuto nascosta.
Paola vive a Roma e lavora in un negozio di strumenti musicali. Divide la tua vita tra gli impegni d’ufficio, dove trascorre molte ore, e la vita di città. Ogni tanto dimentica se stessa e per questo ha deciso di creare il suo spazio sacro. Proprio in ufficio. All’ora di pranzo chiude a chiave la porta e tira fuori tappetino, incenso, musica e tisane. Mezz’ora di yoga, di pratica, di letture, di pace, di meditazione. Quello di creare uno spazio sacro nelle nostre giornate è un’abitudine sana ed efficace. E non significa necessariamente essere appassionati di arti orientali. Tutto quello ci riporta al momento presente va bene. E definire lo spazio, la modalità e il tempo aiuta a sancire un diritto a un’interiorità laica, al silenzio, a un momento di solitudine. Qualcosa di cui ogni essere umano si nutre. Piccoli rituali come accendere una candela, delimitare un angolo di casa dedicato solo a noi stessi, magari decorato con i nostri oggetti più amati o i colori preferiti. Un luogo dove fare quei due tre esercizi che ci fanno sentire meglio, leggere, respirare profondamente, ascoltare qualche canzone irresistibile, imparare a suonare uno strumento o scolpire il legno. Il nostro tempio privato dove coltivare Nowness, presenza interiore, si può ricavare nei posti più impensati. Persino nell’appartamento condiviso con una famiglia numerosa, o in un caotico ufficio in città.
Osservarsi nudi allo specchio può svelare particolari interessanti. E non parliamo di notare il grasso che non vorremmo, o le dimensioni che vorremmo, oppure ancora confrontarsi con l’immagine ideale di un fisico perfetto. Proviamo a guardare il corpo allo specchio con curiosità distaccata, come se fosse quello di un’altra persona. Dimentichiamo i canoni estetici. Quante storie, quanti segni, memorie, cicatrici e ricordi sono registrati nel nostro corpo? Nella sua forma, nella postura, nei segni sulla pelle, nel colore e tessitura della carnagione. Tutto quello che abbiamo mangiato, pensato, amato, odiato, rifiutato e integrato, come abbiamo dormito, respirato, tutto il dolore e le felicità, la sensualità. È tutto lì davanti ai nostri occhi. Eppure in genere è coperto, oppure ci curiamo solo delle imperfezioni, di cosa vorremmo cambiare, delle nostre ossessioni. O ancora siamo compiaciuti di un particolare, dell’abbronzatura, di un dimagrimento o dello sviluppo muscolare. Proviamo a leggere (e soprattutto) sentire il corpo per quello che è, senza aggiungere e togliere, senza giudicare, senza desiderare qualcosa di diverso. Impariamo a fare amicizia con la storia che ci racconta, che è la nostra, con quello che siamo. Senza maschere, senza finzione. Non è un momento che dobbiamo necessariamente condividere, ma può essere un importante passo di liberazione, accettazione e crescita. Un momento dedicato alla presenza in se stessi. In ogni caso.
Humberto Zanetti vive a Roma. È medico, psicoterapeuta e istruttore di una tecnica laica di meditazione, messa a punto da John Kabat-Zinn, che si chiama Mindfulness based stress reduction (MBSR – riduzione dello stress attraverso la Mindfulness). Ecco il suo suggerimento. Riuscite a ricordare cosa avete mangiato l’altro ieri sera a cena? No? Probabilmente è stato un pasto senza consapevolezza. Fate una prova: questa sera quando vi sedete a tavola preparatevi una cena consapevole. Come si fa? Immaginate di avere davanti un bel piatto di spaghetti al pomodoro e basilico. Prima di “attaccarlo” affinate la vostra attenzione: riuscite a immaginare che prima di diventare pasta c’è stato bisogno di macinare il grano e che questo è il frutto dell’azione del sole su un seme piantato a terra? E i pomodori? Anche questi una volta erano dei semi che lo stesso sole ha fatto crescere e maturare. Bene. A questo punto spostate la vostra attenzione sul profumo che entra attraverso le narici, e ai componenti di quell’aroma (dolce, salato, piccante, aromatico, etc.) e a come questi si combinano tra loro. Poi osservate i colori che compongono il piatto: il bianco della pasta, il rosso del pomodoro o il verde del basilico e come sono distribuiti. In fondo il pomodoro non ha colorato in modo uniforme la pasta. Adesso lentamente lasciate sullo sfondo queste osservazioni e portate l’attenzione al braccio e alla mano che si muovono per prendere la forchetta: fate attenzione al rumore che produce sul fondo del piatto. Mettete gli spaghetti in bocca e sentite il calore del cibo sulla lingua e nella bocca. Amalgamate il boccone lentamente con l’aiuto della lingua e fatevi coinvolgere dai sapori. Anche in questo caso provate a distinguere le diverse componenti. Poi lentamente deglutite cercando di seguire il viaggio verso lo stomaco… Ecco, questo è un pasto consapevole: né più né meno di quello che avete fatto la prima volta che da bambini avete mangiato il vostro primo piatto di spaghetti al pomodoro e basilico. Né più né meno di quello che farebbe un marziano arrivato per la prima volta sulla Terra.
Willemijn è un’insegnante olandese di Cinque Ritmi, una forma di meditazione in movimento che consiste nel danzare le proprie emozioni come se fossero un’onda. In uno dei suoi ultimi workshop in Italia ha condiviso con la “tribù” dei danzatori italiani una meditazione semplice e potentissima nello stesso tempo, particolarmente adatta in momenti in cui ci si sente giù di corda. Si può fare tranquillamente dentro il letto, prima di andare a dormire o al risveglio. Si tratta di far scorrere nella mente 21 pensieri positivi, 21 cose per cui siamo grati al mondo e alla vita. Nella lista dei vostri “Thank You” può entrare di tutto: persone amate, il fatto di avere un letto, la pancia piena prima di dormire, il sole che intravedete dalle persiane e la capacità dei vostri occhi di coglierlo. Può entrarci il piatto di spaghetti di cui sopra come la vostra capacità di rialzarvi dopo una brutta caduta. Giorno dopo giorno, vi renderete conto di come è facile trovare 21 cose per cui essere grati. Alcune saranno delle costanti, le prime a venirvi in mente ogni giorno. Altre vi sorprenderanno e vi strapperanno un sorriso. Funziona davvero, provare per credere.
La parola “verso” viene dal latino versus, rivolto. A differenza dalle righe della prosa (che deriva da provorsa, il discorso che procede in avanti), i versi si richiamano fra loro. Che sia fatta con rime, assonanze o richiami del ritmo, una poesia non è tanto interessata ad arrivare a un finale ma piuttosto a formare un’immagine. Per provare a scriverne una non serve essere esperti di metrica né isolarsi in cima a una montagna: bastano un foglio, una penna e del tempo per giocare con le parole.
Ansia, tensione e preoccupazione hanno molti effetti sul corpo e sulla mente. Nessuno di questi è in genere utile ad affrontare la situazione con il giusto spirito. La conseguenza più evidente (e non sempre consapevole) è in genere il blocco della respirazione nella parte alta del torace. Il risultato si traduce nel classico respiro corto, dal ritmo veloce e ampiezza limitata. In questo modo non solo non è possibile ossigenare a fondo i tessuti e liberarsi dalle tossine, ma si ottiene anche un effetto psicologico che amplifica lo stato di ansia. Dal momento che non sempre è possibile agire immediatamente sulla situazione esterna, possiamo invece provare a lavorare sul respiro. Bastano due-tre minuti per rallentarne il ritmo, renderlo profondo, efficace e molto rilassante. La respirazione a tratti sblocca il diaframma, supporta la circolazione e migliora la concentrazione mentale. Ecco come si fa. Seduti o in piedi, in posizione comoda ma con la colonna ben allineata, svuotiamo per prima cosa completamente i polmoni con una lunga espirazione, quindi inspiriamo a sussulti riempiendo i polmoni in 4-7 battute come quando si piange molto. Una volta raggiunta la capienza massima, espiriamo in maniera lunga e profonda con la sensazione di liberarci completamente da ogni ansia, disturbo e preoccupazione. Quindi ripartiamo con una nuova inspirazione a tratti. Possiamo ripetere l’esercizio per un paio di minuti e in ogni caso fino a che non ci sentiamo più leggeri e rilassati. Quando il corpo si trova in uno stato di tensione emotiva e fisica eccessiva, questo tipo di respiro emerge spontaneamente con il pianto. Singhiozzare aiuta a scaricare la tensione sbloccando immediatamente ogni contrazione all’altezza di pancia e stomaco. E in genere, dopo un bel pianto liberatorio, ci si addormenta profondamente.
Succede spesso, in una fila senza i rassicuranti numeretti, che qualcuno ci passi avanti. Succede a volte anche di non trovare l’energia di protestare e per questo di sentirsi deboli, timidi e un po’ stupidi: forse se ci passano davanti è perché abbiamo scritto in faccia che siamo pecore pazienti, animali inoffensivi che meritano di aspettare qualche minuto in più. Si può capovolgere la sensazione del torto subito in silenzio e viverla come un lusso: se non hai detto “c’ero prima io” è perché sai che tu, prima o dopo quella persona disattenta, ci sei comunque. Assapora la gioia di regalare un perdono segreto.
Giunti a febbraio, è comprensibile nutrire una certa intolleranza verso l’inverno. Il nostro bisogno di sole e passeggiate si fa più impellente, la nostra voglia di stare all’aperto chiede di essere ascoltata. Eppure ci sono cose dell’inverno che di sicuro ci mancheranno, come raggomitolarsi sotto al piumone o il piacere di una zuppa calda mentre fuori fa un freddo pungente. Proviamo allora a vivere il mese di febbraio con consapevolezza e accettazione, facendo caso a ciò che dell’inverno ci piace e a ciò che invece – pur con tutti gli sforzi del mondo – proprio non ci va giù. Il maltempo non è piacevole per nessuno, soprattutto quando fa danni e crea disagi come quelli che abbiamo visto la settimana scorsa. Ma fa parte della natura, è uno dei modi in cui la Terra si regola come sistema. Troppo spesso noi umani ce ne dimentichiamo e tendiamo a sentirci “perseguitati” dal meteo, un atteggiamento sbagliato che contribuisce – insieme alla miopia e talvolta alla malafede delle amministrazioni locali – all’incapacità di progettare spazi abitati che tengano conto in maniera intelligente degli agenti atmosferici. Sviluppare un atteggiamento non di avversione, ma di comprensione/rispetto può aiutarci a riscoprire il fascino di una pioggia o di una nevicata. Come accade alla piccola Kayden, che non riesce a trattenere la gioia di fronte al “miracolo” di tante gocce che tutte insieme cadono giù dal cielo.
Nulla ci riporta di più al presente che impastare del pane con le proprie mani: la sensazione tattile tra le dita di lievito, farina e acqua, dosare la forza nei polpastrelli in una danza manuale che trasforma semplici ingredienti in una pasta morbida ed elastica. E poi il tempo di lievitazione, osservare il miracolo della crescita sbirciando sotto il panno e il profumo che si diffonde dal forno in tutta la casa. Fare il pane non solo è salutare ed economico, ma ci riporta a un senso della realtà legato al poter “fabbricare” il nostro cibo, senza doverlo necessariamente infilare in un sacchetto al supermercato o in un negozio. Riportare l’attenzione al corpo, al respiro, all’attesa in una serie di gesti che “creano” cibo è un regalo che ci possiamo fare spesso.
È bello esprimersi liberamente e raccontare con spontaneità a un’amica o a un amico quello che si pensa senza tanti filtri. Ma è bello anche, a volte, fermarsi un momento e lasciare spazio al silenzio. Per scoprire, ad esempio, che quello che si voleva dire non è così importante. Per lasciare spazio e tempo alla persona con cui stiamo parlando di formulare ed esprimere un’idea che altrimenti non sarebbe venuta fuori. Oppure, semplicemente, per assaporare insieme l’intimità di un momento non verbale. “Il silenzio è l’araldo più perfetto della gioia” scrive William Shakespeare in Molto rumore per nulla.
Ne abbiamo già parlato qui, ricordando il discorso di George Saunders agli studenti e il suo invito a “essere gentili”. Questa frase, tratta dal libro “Brodo caldo per l’anima – 2° volume” di Jack Canfield e Mark Victor Hansen – è diventata uno slogan di successo su Facebook e sugli altri social network. Il motivo è molto semplice: essere gentili con gli altri, sorprendere una persona con un atto gentile e magari regalarle un sorriso fa bene. Fa bene a tutto: allo spirito, all’umore e quindi anche al corpo. A chi non è capitato di ricevere un gesto inaspettato e portare con sé quel calore per tutto il giorno? E quante volte il sorriso di uno sconosciuto ci dà un input positivo, una piccola vibrazione capace di mettere in moto nuove energie? Praticare la gentilezza costa molto poco e dà molto in cambio. Le occasioni, a volerle cercare, sono infinite. La prima è già lì, proprio dietro l’angolo.
Pensiamo a un’azione quotidiana molto semplice, qualcosa tipo lavarsi i denti, usare il mouse del computer, spazzare per terra, mangiare un piatto di pasta. Quale mano utilizziamo spontaneamente? La destra? Bene per almeno dieci minuti proviamo a utilizzare quella opposta, senza barare. Forchetta, mouse, spazzolino o scopa si trasformano così in strumenti di apprezzamento delle abilità che diamo per scontate. Non solo. Cambiare lato di utilizzo abituale del corpo allena l’emisfero opposto del cervello, scompagina le abitudini, armonizza le nostre lateralità e, in definitiva, ci ricorda che possiamo guardare la nostra realtà da un’altra prospettiva. Naturalmente se siamo mancini, proviamo il nuovo senso di libertà del lato destro.
Da ragazzi non avevamo molti soldi per comprare musica. Non esisteva il download e c’erano due opzioni: acquistare un 45 giri con sole due canzoni, oppure un album con circa 40 minuti di musica assicurata. Il vinile sta tornando di moda. E si capisce il perché: scartare la confezione, assaporare l’odore del disco nuovo ancora prima di studiare la copertina e ascoltare le note iniziali. E poi le parole scritte di ogni canzone che si trovavano all’interno. Stampate sulla carta. Comprare un disco e ascoltarlo dall’inizio alla fine, leggendo le parole senza distrazioni, diventava un rituale. Per il tempo di ascolto l’attenzione era tutta agli strumenti, alla voce, ai testi, all’insieme del risultato melodico. Il telefono era in un’altra stanza e il resto del mondo restava fuori dal campo d’ascolto. Forse oggi è troppo impegnativo trovare il tempo di gustare un intero album, con o senza cuffie, abbandonando ogni altra azione o pensiero. Ma se provassimo con un solo brano?
Camminare senza scarpe salverà la nostra salute? Secondo un nuovo esercito di passeggiatori a piedi nudi, sostenuto da medici e scienziati con relativi studi, è proprio così. La scoperta è simile all’acqua calda, tanto semplice da rasentare il banale: chi non si sente bene dopo aver camminato sul bagnasciuga di una spiaggia o sull’erba fresca di rugiada? Il cosiddetto grounding, la pratica di radicamento a terra attraverso i piedi, è ben conosciuta nello yoga così come in altre discipline orientali quali il T’ai chi ch’uan e Qì Gōng. Ma recenti studi portati avanti da scienziati statunitensi come Gaetan Chevalier, James Oschman, Stephen Sinatra e Martin Zucker hanno portato questa piacevole sensazione a tutto un altro livello. Il punto fondamentale è che lo scambio diretto tra la nostra pelle e gli elettroni che si accumulano sulla superficie terrestre serve a neutralizzare le molecole instabili nel nostro organismo, all’origine di molti danni fisici. Si tratta dei cosiddetti radicali liberi, il prodotto naturale ma tossico di alcuni processi metabolici del corpo umano. Un eccesso di queste molecole cariche positivamente è la causa di una serie di reazioni a cascata che provocano distruzione cellulare e invecchiamento. Non solo, possono indebolire il sistema immunitario e peggiorare ogni genere di infiammazione nel corpo. Già Ippocrate, il padre della medicina moderna vissuto 2.500 anni fa, aveva intuito i danni da disconnessione dalla natura. Diceva infatti “che nessuna malattia arriva all’improvviso, ma è sviluppata attraverso una serie di peccati quotidiani contro la natura. Quando ne accumuliamo un numero abbastanza grande la malattia appare”. Allo stesso modo, un adagio tradizionale dei nativi americana recita: “I Piedi sani possono ascoltare il vero cuore di Madre Terra”. L’obiettivo degli appassionati diearthing è riconnettere l’intera popolazione mondiale al pianeta.
Amici, incontri casuali, colleghi, familiari. Quante persone vediamo in una giornata? E quanto diamo per scontato il piacere della loro presenza? Immaginiamo di partire il giorno dopo per un lungo viaggio, magari cambiando città o addirittura Paese e Continente. Per una sera proviamo a trattare i nostri amici, amati, familiari e chiunque incontriamo come se non dovessimo vederlo per un lungo periodo di tempo, forse mesi. Come ci comporteremmo? Quale valore daremmo a quella stessa serata e all’immenso piacere di condividere il nostro tempo con persone affini, o a cui siamo profondamente affezionati?
Chiamatela silent dance o small dance, oppure non chiamatela affatto ma fatela soltanto: è la vostra danza, quell’impercettibile movimento del vostro corpo che non è guidato dalle intenzioni, ma segue l’oscillare della terra e il vostro starci sopra. Si tratta di una pratica molto semplice: mettetevi in piedi senza scarpe, se possibile all’aria aperta. Le ginocchia leggermente piegate e la schiena diritta, come se la punta della vostra testa fosse tirata su da un filo radicato nel coccige. Chiudete gli occhi e immergetevi nell’ascolto. In mancanza della vista, il vostro sistema di equilibrio dovrà concentrarsi su altri canali – il contatto dei piedi con la terra, la forza della vostra colonna vertebrale. Senza accorgervene, vi ritroverete a oscillare, come se dalla terra si propagassero delle piccole onde che vi fanno vibrare. Magari arriverà un soffio di vento a gonfiarvi come una vela, oppure sarà solo il vostro respiro, che in fin dei conti è fatto della stessa materia. Quante cose ci sfuggono di questo mondo che gira, mentre noi non ce ne accorgiamo?
L’email ha rivoluzionato il nostro modo di lavorare, comunicare e socializzare. Scrivere un messaggio elettronico ci fa risparmiare tempo, fatica e denaro. Insomma, è quasi sempre una soluzione ideale per farci ascoltare, un modo di esprimersi attraverso tastiera e schermo a cui siamo tutti devoti. A volte fino al punto di inviare messaggi di posta elettronica in ogni occasione: dai colleghi con cui condividiamo la stessa stanza, ai familiari che vivono sotto lo stesso tetto in famiglia. E se riscoprissimo il valore di consegnare un pensiero verbalmente? Di persona? Potremmo alzarci, compiere a piedi il tragitto fino alla stanza accanto o un’altra scrivania e guardare il nostro interlocutore negli occhi. Chiederci e forse anche chiedergli come sta, e quindi recapitare a voce il nostro messaggio, gustandoci le espressioni del volto, del corpo e la reazione immediata. Non perdiamoci questo lusso ogni tanto. Ne guadagna anche il fisico, a cui due passi fanno bene in ogni caso.
“Anche nella posizione più scomoda… puoi dipingere”, direbbe Frida Kahlo. Nei mesi successivi all’incidente, fu costretta a dipingere dal suo letto. Sul baldacchino fece attaccare uno specchio, così da potersi guardare. È in questo periodo che iniziò la serie degli autoritratti. Frida era senz’altro una persona straordinaria, che trovò nell’arte la forza per attraversare e trasformare il dolore. La sua lezione, però, può essere utile per ognuno di noi. Pur essendo confinata in un corpo martoriato, Frida non si stancò mai di indagare il colore e le infinite sfumature dell’animo umano. La prigione del corpo non riuscì a fermare la sua fantasia, che anzi imparò a correre ancora più veloce. Non è necessario essere dei grandi artisti per trovare, nel proprio piccolo, degli spazi di libertà. Anche nelle situazioni più anguste che la vita ci riserva, possiamo sempre rimanere padroni dei nostri pensieri e delle nostre emozioni.
Benjamin Franklin aveva l’abitudine di ripercorrere la giornata vissuta, poco prima di andare a dormire. Da giornalista, diplomatico, attivista, inventore, politico e scienziato qual era, immaginiamo non avesse problemi a compiacersi e provare soddisfazione per le azioni positive. Quello che è interessante, però, è che Franklin praticava anche una specie di “doccia mentale”: passava in rassegna i propri errori, il dolore provocato ad altre persone e i gesti sconsiderati. Cercava di capirne il significato e la lezione intrinseca, trovando allo stesso tempo modi per riparare il riparabile. Quindi si perdonava, lasciando andare le sensazioni negative, alleggerendo la mente e il cuore per prepararsi a una notte di sonno profondo.
Siamo fuori con gli amici, o durante un colloquio di lavoro o a cena con una nuova fiamma. Esercizio numero uno: preoccupiamoci di meno di quello che le persone pensano di noi. Liberandoci anche per pochi minuti dall’attenzione sui noi stessi e sulla nostra performance, potremo raccogliere un’incredibile quantità d’informazioni su chi abbiamo di fronte. Magari riusciremo addirittura a creare un senso di connessione che ci permette davvero di conversare, parola la cui origine latina significa “volgersi agli altri”. Praticando un ascolto attento e non giudicante, potremo capire meglio quali sono i pensieri e le motivazioni di chi abbiamo di fronte e, magari, non lasceremo l’incontro chiedendoci cosa sia veramente successo.
Che sia scritta su un foglio, oppure esista semplicemente nella nostra testa, le nostre giornate seguono il ritmo delle cose da fare. Piacevoli, doverose, allettanti o sgradevoli che siano affastellano la nostra mente e lasciano un senso di soddisfazione, o al contrario incompiutezza, persino sopraffazione quando diventano troppe e non riusciamo a portarle a termine. Mettiamo a dieta la nostra to do list. In fondo rinunciare a un progetto è un modo per portarlo a termine, ed esercitare le nostre capacità organizzative cercando di essere obiettivi riguardo a tempo ed energie disponibili è certamente un esercizio di salute. Lasciare incombenze in sospeso non ci fa bene e, anche quando ce ne dimentichiamo, resta un tarlo d’irresolutezza nel nostro inconscio. Partiamo dall’inizio: essere perennemente occupati non è un valore di per sé. Scartiamo gli impegni superflui o quelli che comunque non riusciremmo ad adempiere. E se provassimo a coltivare ‘l’arte del non fare’ nei recuperati scampoli di tempo libero?
Ogni posizione delle dita stimola i punti riflessi che si trovano nelle mani, spiegano gli esperti di mudra, lo yoga che si pratica attraverso posizioni delle dita. La geografia di palmo e polpastrelli rispecchia la salute degli organi interni, del sistema nervoso, dello stato mentale ed emotivo. Attraverso la pratica dei mudra si esercita quindi un accordo con le varie parti del corpo verso una maggiore integrazione e consapevolezza. Questa posizione, da tenere per due minuti almeno, è dedicata a Kubera, il dio della ricchezza. È generalmente utilizzata per risolvere problemi quotidiani o per dare maggiore forza ai progetti per il futuro. Infonde pace interiore, dà serenità e fiducia.
La primavera, lo sappiamo, fa bene. Migliora il nostro umore, ci consente di trascorrere più tempo all’aria aperta, colora le nostre giornate di nuove sfumature. E allora perché non festeggiarla a dovere? Per farlo ci sono mille modi: una passeggiata al parco, una nuova pianta per il nostro balcone, un piatto primaverile preparato con tutta la cura di cui siamo capaci. Tutte queste attività, se fatte con mindfulness, possono diventare delle vere e proprie meditazioni.
Forse non è troppo salutare rimuginare sul passato mentalmente, ma lo è senza dubbio farlo fisicamente. Ogni torsione del busto aiuta a rendere più elastica la colonna, distende le tensioni in collo e schiena e aumenta la capacità toracica e respiratoria. Quindi se siamo seduti su una sedia, a casa o in ufficio, possiamo semplicemente aggrapparci con entrambe le mani sullo schienale, ruotando piano tutto il busto guardando indietro. Quando raggiungiamo il nostro punto di tensione ideale (non troppo, né troppo poco), facciamo 10 lunghi respiri, immaginando di lasciar andare la tensione e dolori eventuali ogni volta che espiriamo. Torniamo al centro, ritroviamo l’allineamento eretto del busto e quindi ripartiamo per esplorare il mondo dietro di noi sull’altro lato. In alternativa, se vogliamo sederci sul pavimento possiamo praticare la posizione yoga Matsyendrasana, la mezza torsione del signore dei pesci.
“L’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma passando da una forma a un’altra”, recita il primo principio della termodinamica. E non dovremmo mai dimenticarcene nel pianificare le nostre giornate. Proviamo a fare una lista divisa in due colonne: nella prima possiamo scrivere tutte le attività che consumano energia vitale. Proviamo a pensarle senza giudizio, non c’è nulla di giusto o sbagliato, sono solo cose che facciamo. Ad esempio, guidare nel traffico, appuntamenti stressanti, mettere in ordine la casa, correre a prendere i ragazzi o fare la spesa. Ma anche frequentare persone troppo spesso arrabbiate o che si lamentano in continuazione, occuparsi delle bollette e così via. Come possiamo compensare questo consumo di energia? Nella seconda colonna scriviamo tutto quello che ci rigenera: una passeggiata all’aperto, vedere gli amici più cari, praticare uno sport o una disciplina che ci arricchisce, ballare, leggere, vedere una mostra, imparare qualcosa che non sapevamo fare, forse cucinare. Siamo capaci di suddividere il nostro tempo in maniera equilibrata tra attività logoranti e rigeneranti?
Nella tradizione araba, l’hammam è un rituale fondamentale che serve per purificare il corpo e lo spirito prima della preghiera. Il rito della purificazione richiede concentrazione e presenza mentale, come ci si rende subito conto entrando in un tipico hammam marocchino. Le donne da una parte, gli uomini dall’altra, in silenzio si lavano nella penombra, lasciando spazio al rumore dell’acqua. Non serve andare in un centro benessere per rivivere queste sensazioni: l’importante è l’intenzione con cui si fanno le cose. Ecco allora che il bagno di casa nostra può trasformarsi in un hammam perfetto: basta ritagliarsi un po’ di tempo, accendere una candela o un incenso, magari mettere un po’ di musica rilassante per distendere i nervi. Con uno scrub o un guanto di crine è possibile concedersi un trattamento esfoliante: non c’è momento migliore della primavera per rimuovere le cellule morte e fare largo al nuovo.
Ripetere un mantra è un incredibile esercizio di concentrazione. Si tratta di un insieme di parole sanscrite, una formula sacra, un pensiero che offre protezione. Spesso le sillabe ricordano il suono emesso dai neonati e, anche se non comprendiamo a fondo il significato originale, utilizzare un mantra pronunciato a voce alta o silenziosamente durante la meditazione, ha il forte potere di riconnetterci a noi stessi e al presente. È importante che sia associato a una respirazione lenta, lunga e profonda. A volte può essere praticato con un particolare movimento del corpo o un sigillo delle mani. Oṃ Maṇi Padme Hūṃ, che significa “Salve gioiello nel fiore di loto” è il mantra del Buddha della Compassione e secondo la tradizione protegge chi è in imminente pericolo. Racchiude, inoltre, il potere di sviluppare la compassione.
Che sia ceramica, potare gli alberi, lavorare a maglia, ballare il tango o tirare colpi di Karate, buttiamo nel secchio per una volta l’idea di non avere tempo e iscriviamoci a un corso. Quale occasione migliore per rompere le abitudini e i pensieri ossessivi per ampliare le nostre capacità fisiche e mentali? Buttiamoci al 100% in una nuova attività e se abbiamo paura di essere derisi, manteniamola segreta. Inseriamola di diritto in agenda tra gli appuntamenti e viviamola come una piccola trasgressione, che ci aiuta a mantenere un livello socialmente accettabile di normalità.
I nativi americani la chiamavano Potlatch e veniva celebrata durante occasioni speciali, come matrimoni, nascite, funerali, ma anche durante il cambio delle stagioni o prima della ricerca di un nuovo luogo per il villaggio. Consiste nell’identificare e donare una serie di oggetti, ai quali siamo più o meno legati, ma che pensiamo possano essere più utili ad altre persone. Possiamo osservare le nostre resistenze, reticenze, o come la nostra mente inventi storie mentre raccogliamo il nostro bottino da dare via. Infine è bello notare il senso di liberazione, il nuovo spazio, la pulizia interiore e la gratitudine che derivano dall’aver compiuto il gesto. È di particolare beneficio se ci troviamo in una situazione stagnante o in qualche modo insoddisfacente. Se poi ci sentiamo davvero coraggiosi, possiamo prendere qualcosa a cui teniamo molto per darlo a qualcuno che ci piace poco. Osservare con consapevolezza tutta la gamma di sensazioni interne è un esercizio interessantissimo.
“Dove c’è un’alterazione nel fisico, c’è un problema emotivo non risolto”, dice Mariella Pocek esperta di riflessologia plantare e membro di Aicto (Associazione Internazionale di clinica e terapia olistica). Una disciplina nata in oriente settemila anni fa che studia e sollecita i punti riflessi degli organi e parti anatomiche che si trovano sotto i nostri piedi. Non solo la stimolazione plantare stimola la produzione di endorfine e altri neurotrasmettitori che possono promuovere l’autoguarigione; Mariella spiega anche che, attraverso la stimolazione dei punti dolenti, è possibile rilasciare la tensione legata al conflitto emotivo. In attesa della seduta da un esperto possiamo provare a rintracciare la nostra anatomia interna sotto i piedi e massaggiare le aree più contratte e dolorose.
I jeans non si chiudono, i bottoni della camicia tirano sulla pancia, la gonna sale facendo le grinze. Magari non abbiamo neanche messo su peso negli ultimi tempi, ma al momento dello shopping siamo stati presi da un eccesso di ottimismo e abbiamo acquistato i nostri indumenti di una o due taglie più piccole. Grave errore. Non solo il proposito di dimagrire dovrebbe partire da come ci “sentiamo” e dalla voglia di stare bene, piuttosto che da come ci “vediamo”. Lo shopping sotto taglia ci rivela anche una certa incapacità nell’accettarci e nell’accettare la bellezza del presente. Forse i vestiti che ci fanno stare bene, ci stanno anche bene? Copriamoci con quello che ci calza a perfezione in questo momento. L’eleganza è un atteggiamento interiore.
Dopo alcuni riti aztechi, come ad esempio il Temazcal, può capitare di sentire chiaramente il battito della Terra dare il ritmo al nostro cuore. Non è necessario, però, aver sperimentato una sensazione così forte per godere dell’abbraccio dell’enorme materia che ci sostiene. Il bello di questo esercizio è che può essere fatto ovunque: su un prato, in spiaggia, o al chiuso su una superficie naturale. Basta sdraiarsi a pancia in sotto e concedersi dei respiri lunghi, lenti e profondi. Il gonfiarsi dell’addome, spinto su e giù dal diaframma, sarà una carezza per voi e per la terra. Il passo seguente è entrare in uno stato meditativo e sentirvi tutt’uno con il luogo da cui veniamo e in cui, prima o poi, torneremo.
Non dimentichiamo il valore della parola “anche”: è un assoluto toccasana per uscire dagli imbuti auto indentificativi e ritrovare l’ironia. È applicabile in qualsiasi situazione, ad esempio professionale. Che siamo insegnanti, impiegati, giornalisti, pizzaioli o spazzini, possiamo ricordarci che siamo “anche” insegnanti, “anche” impiegati, “anche” giornalisti, “anche” pizzaioli o “anche” spazzini. Cosa siamo nel resto della nostra vita? Con i lati del nostro carattere con cui usiamo impropriamente etichettarci, il gioco è ancora più bello: forse siamo “anche” gelosi, “anche” bravi, “anche” di successo, “anche” tristi, “anche” un po’ ladri, “anche” benefattori e “anche” ansiosi. Una sola parola può aiutarci a praticare il distacco e a prenderci un po’ in giro. Usiamola.
In qualità di scimmie antropomorfe, gli esseri umani prediligono decisamente la vista all’olfatto. Ma quanto può essere divertente ricordarci di “annusare” la vita? Possiamo cominciare dall’aria che ci circonda durante una passeggiata, per poi passare all’odore amato delle persone a noi vicine. Ma è ancora più divertente cercare di captare l’odore di una persona sconosciuta, registrando le tracce olfattive proprio come farebbero gli animali. Inutile sottolineare di portare l’attenzione all’olfatto mentre si mangia: gli odori costituiscono una grandissima parte delle nostre sensazioni gustative. Siamo in grado di disegnare un paesaggio odoroso delle nostre giornate?
Che la meditazione sia un efficace antidoto contro i disturbi del sonno è un fatto dimostrato da diversi studi scientifici (uno su tutti: quello realizzato dal Northwestern Memorial Hospital di Evanston, Illinois). Secondo lo studio, chi medita ottiene un miglioramento sia della durata e che della qualità del sonno, con tutti i benefici che ne derivano. “I risultati della ricerca, condotta su pazienti di età compresa tra i 25 e i 45 anni, dimostrano che le tecniche di rilassamento profondo praticate durante il giorno e prima di addormentarsi possono favorire un miglioramento del sonno durante la notte”, spiega Ramadevi Gourineni, responsabile del programma di insonnia presso il centro di ricerca americano. Le tecniche per svuotare la mente sono pressoché infinite. Si va dal Kriya Yoga, una forma di meditazione utilizzata per focalizzare l’energia interiore e ridurre la tensione, agli esercizi di respirazione (pranayama), passando per le tecniche di visualizzazione mentale. Ci si può immaginare di tutto, persino una camminata interstellare. Il bello è proprio questo: non c’è limite alla capacità della nostra mente di spaziare e immaginarsi in nuove forme e contesti. Una tecnica divertente, ad esempio, consiste nell’immaginare come dorme il vostro animale preferito, o comunque l’animale che sentite più vicino quel giorno. Come si addormenta un gatto? Come prende sonno una cinciallegra? E una leonessa? E un delfino? A questo punto basta immaginare di essere l’animale in questione, magari assumendo una sua posa di riposo. Oltre che distrarvi dai pensieri, questo gioco mentale potrebbe addirittura regalarvi l’ingresso in un sogno. Preparatevi a viaggiare nel paesaggio più prezioso: quello della vostra immaginazione.
Far volare un aquilone non serve a niente. Non aiuterà a farci guadagnare denaro, difficilmente faciliterà l’incontro con la nostra anima gemella, non serve a mettere in ordine le nostre cose e le nostre case. Non accontenterà i desideri del nostro partner, né quelli del nostro datore di lavoro. Forse ci aiuterà a stare di più all’aria aperta, quello sì. Ma soprattutto ci renderà inspiegabilmente felici e rigenerati. È fondamentale praticare ogni tanto l’arte del non fare: quelle attività che apparentemente non hanno uno scopo preciso, se non allargare il cuore e spazzare la mente con aria fresca e pulita. Ecco le istruzioni per un aquilone fai-da-te, magari costruito con la carta avanzata delle uova di pasqua. (Tratto da Io lo faccio da me di Giovanna Olivieri, Terra Nuova Edizioni). Prendete due canne sottili, una più lunga e una più corta. Dopo aver praticato un taglio alle estremità per infilare lo spago, legatele a croce. Formare con lo spago un rombo infilandolo nei tagli, quindi appoggiare il telaio sulla carta dell’uovo di pasqua e ritagliarla, lasciando circa 2 centimetri di avanzo per lato. Ripiegare i bordi di carta attorno al telaio e fissarla con dell’adesivo. Assicurate alle due estremità della canna verticale un pezzo di spago di 10 centimetri più lungo, senza tenderlo e fare lo stesso con la canna più corta. Nel punto in cui si incontrano i due archi fisseremo il capo dello spago per far volare l’aquilone e arrotoleremo il resto dello spago attorno a un pezzo di legno. Possiamo decorare la coda del nostro aquilone con striscioline di carta assicurate dal nastro adesivo. Buon vento.
Quante azioni al giorno compiamo in automatico, senza attenzione, senza consapevolezza, senza in definitiva sentirci vivi? Disinneschiamo l’autopilota. Si può partire dalle cose più semplici: lavarsi i denti, bere il caffè, guidare o prendere l’autobus fino al lavoro. E poi salutare le persone che vediamo ogni giorno, controllare compulsivamente le email, guidare lungo una strada conosciuta. Piccoli rituali d’inconsapevolezza che giorno dopo giorno alimentano il nostro senso di alienazione, scollegandoci da noi stessi e dal senso di consapevolezza della vita. Scegliamo il gesto più automatico di tutti, come hanno fatto Mark Williams e Danny Penman in Mindfulness: An Eight-Week Plan for Finding Peace in a Frantic World. Per esempio lavarci i denti? Restiamo nel momento, portiamo tutta la concentrazione al gesto, alla sensazione dello spazzolino in bocca e sui denti, al sapore del dentifricio, a come muoviamo il braccio, il polso, la mano. Proviamo a scardinare qualche rituale inconsapevole nella nostra giornata: ci alleneremo così a una nuova vitalità e maggior ampiezza di percezione della nostra quotidianità.
Purtroppo, è molto probabile che nella nostra vita ci sia una persona cara – amica, compagna, parente che sia – che sta affrontando un momento difficile. Una fase di depressione, una rottura amorosa, la malattia di un familiare, l’assunzione di nuove responsabilità che a prima vista possono sembrare ingestibili. Per quanto grande sia l’amore che proviamo per questa persona, difficilmente potremo fare qualcosa per “cancellare” il suo problema e proteggerla dal dolore. Eppure possiamo fare molto, anzi, moltissimo. Un sorriso, una parola, un gesto inaspettato. O ancora: una sorpresa, una passeggiata, una gita fuoriporta. Anche se l’altra persona non è con noi al 100%, e magari non riesce a dimostrarci la sua gratitudine, è grande il beneficio che possiamo dare con il nostro sostegno. Anche se in silenzio – o senza parlare direttamente del problema – la nostra presenza può regalare una boccata d’ossigeno anche alle giornate più cupe.
Il metodo più semplice e antico per scuotere di dosso ansia, stress e preoccupazioni, magari alla fine di una giornata difficile, è appunto scuoterci. La tecnica è facilissima ed è praticata da millenni in diverse discipline: dallo yoga, alla bioenergetica, allo sciamanesimo. L’importante è ancorare bene i piedi a terra mantenendo una distanza fra loro circa uguale a quelle delle spalle. A questo punto molleggiamoci sulle ginocchia, portando l’attenzione alle varie articolazioni, caviglie, bacino, spalle, lasciando andare le diverse tensioni muscolari (e mentali!) che avvertiamo nel corpo. Dopo qualche minuto possiamo percepire due correnti dentro di noi: una che sale da terra attraverso piedi e gambe e porta energia e nutrimento, la seconda che parte dalla testa e scarica a terra tutto quello che non ci serve più: pensieri, tossine, nervosismo. Bastano pochi minuti per iniziare, col tempo possiamo incrementare la durata. Un esempio è la Osho kundalini meditation
Email, messaggi, musica, foto e video sono al nostro servizio, oggi fantasticamente racchiusi in un piccolo oggetto elettronico. Per misteriosi motivi, a volte dimentichiamo di essere utilizzatori consapevoli dei nostri strumenti e diventiamo schiavi del richiamo elettronico. La mente è irrimediabilmente e compulsivamente attratta dallo schermo e dal pollice, in continuazione. Se siamo a cena o a pranzo con gli amici riconnettiamoci con noi stessi e i nostri affetti: proviamo il gioco della catasta elettronica. Basta impilare tutti i telefoni, smartphone e tablet al centro del tavolo. A questo punto l’interazione, la conversazione e la presenza a tavola diventa davvero libera. Il primo che è tentato di controllare il telefono prima della fine del pasto, può farlo. Basta che paghi il conto.
Non sempre abbiamo la possibilità di fare tutti i viaggi che ci pare. Asia, Africa, Sudamerica, Caraibi… quante volte abbiamo sognato di salire sul primo aereo e partire alla volta di una nuova meta? Per fortuna ci sono diversi modi per viaggiare. Uno di questi – molto pratico, tra l’altro – è farlo attraverso i sapori. Concediamoci ogni tanto una cenetta etnica: un ristorante indiano, etiope, turco, greco… o quello che vi pare. Oppure divertiamoci ai fornelli con spezie sconosciute, magari scaricando da internet la ricetta etnica che più ci attrae. Le nostre città stanno diventando sempre più multietniche: rispetto a qualche anno fa è molto più facile imbattersi in ingredienti e cibi capaci di parlarci di altre culture. Con lo spirito giusto, non dovrete cercare molto per trovare persone interessate a degli scambi culinari. I benefici sono assicurati, sia per il palato che per la vostra apertura mentale: وجبة شهية. – enjoy your meal!
La sedia ha rivoluzionato la postura e la flessibilità delle articolazioni del mondo occidentale. Siamo seduti quando parliamo, mangiamo, lavoriamo, guidiamo, viaggiamo, conversiamo, e questa posizione semieretta non ci aiuta a scaricare tensione dalla schiena. In altre culture accovacciarsi e sedersi a terra è un gesto di centratura e riconnessione con la terra (pensiamo ai nativi americani o a molte cerimonie d’oriente). In alcuni Paesi lo squat è usato per leggere, cucinare, riposarsi, conversare. Abbassarsi fino al terreno contribuisce a scaricare la tensione mentale, a distendere la muscolatura della parte lombare della schiena, a esercitare i muscoli delle gambe e a rendere più agili le articolazioni di bacino, ginocchia e caviglie. Quando siamo stanchi di stare seduti, proviamo a praticare per due minuti la posizione yoga che si chiama Malasana. I benefici sono immediati.
Nel vortice dei “ciao, come stai? Tutto bene”, troviamo il coraggio ogni tanto di cominciare una conversazione autentica e reale, che non nasconda o lasci sepolti nella superficialità i nostri veri sentimenti, gli argomenti che contano. Allo stesso modo proviamo ad ascoltare sul serio, conducendoci a vicenda nella parte più vera, vulnerabile e scoperta di noi stessi. Ci vuole coraggio, soprattutto con persone che conosciamo poco. È uno switch nella quotidianità, un affondo alla banalità a cui non tutti sono sempre preparati. Ma è anche un modo per ritornare a noi stessi e vivere il presente così com’è, scegliendo una reazione autentica al dovere di una felicità forzata.
Quante volte nella vita ci capita di sentirci duali – divisi a metà tra due desideri, due impulsi, due possibili vie? E quante volte, proprio per questo, ci danniamo l’anima, fino a credere di essere incapaci di scegliere o di sentire? Non sarebbe molto meglio accettare di essere, allo stesso tempo, l’una e l’altra cosa? In ognuno di noi c’è una parte maschile e una parte femminile, così come c’è un emisfero del cervello (il sinistro) che assolve a funzioni più analitiche e un altro (il destro) più incline alle emozioni. E’ proprio questa nostra polarità che ci consente di attraversare momenti e situazioni diverse, facendoci assomigliare a un fluido più che a un solido. E un fluido – lo sappiamo – è capace di cambiare: di fronte a un ostacolo, non si blocca e non si spazza, ma cambia forma, trova il modo di fluire, si incanala dove tutto scorre. Moltissimi esercizi yoga servono proprio a questo: bilanciare il maschile e il femminile; in una parola, unire. Il più semplice di tutti è il mudra della preghiera: un gesto potentissimo che, non a caso, ritroviamo in diverse religioni. Basta mettere le mani giunte all’altezza del cuore, facendo coincidere un palmo con l’altro e unendo a specchio tutte le dita. A questo punto basta esercitare una leggera pressione, una piccola spinta da entrambi i lati che porti l’energia al centro. Godetevi questa posizione con gli occhi chiusi, facendo dei respiri lunghi, lenti e profondi. Pochi minuti bastano a far pace con le nostre polarità!
Una delle questioni principali sul cibo è il consumo di alimenti lavorati industrialmente. Alimenti in scatola, merendine, snack, bevande zuccherate: proviamo a ridurli al minimo o eliminarli completamente. Prepariamo da soli i nostri pasti, spremiamo o frulliamo la frutta se vogliamo un succo, impariamo a cucinare un dolce. Il cibo preparato con le nostre mani ha un sapore più buono e cucinare ci invita a occuparci di noi stessi. Se proprio abbiamo il desiderio di comprare un alimento preconfezionato, leggiamo gli ingredienti sull’etichetta: se ce ne sono uno o due che non conosciamo o suonano troppo strani, lasciamolo sullo scaffale. In ogni caso l’ideale è non acquistare prodotti che abbiano più di 3, massimo 5 ingredienti in totale. Infine, evitiamo accuratamente ogni alimento trattato con sostanze chimiche.
Capita a chiunque, almeno una volta nella vita, di dover convivere per un periodo di tempo con una situazione spiacevole. Ad esempio una condizione lavorativa difficile, che nell’immediato non possiamo cambiare e da cui, per svariati motivi, non possiamo sottrarci. Oppure delle dinamiche familiari problematiche, da cui è impossibile scappare per via dei legami con le persone coinvolte. In situazioni di questo genere, il rischio è di aggiungere conflitto al conflitto, sviluppando rabbia e frustrazione e finendo per stare ancora più male. Che fare, dunque, quando proprio non è possibile girarsi dall’altra parte e andare via? Un atteggiamento da provare è quello del “testimone”. Proviamo a vedere cosa succede se ci collochiamo nella posizione dell’osservatore, di colui che invece di farsi scalfire e ferire dall’ambiente circostante, lo osserva e ne è testimone. Proviamo a non prendere sul personale tutto ciò che accade intorno a noi, coltivando l’idea di una separazione tra dentro e fuori: dentro può rimanere la calma, anche se fuori succede l’inferno. Riuscirci non è facile, ma possiamo iniziare a piccole dosi, attivando questo pensiero proprio quando si presenta un momento particolarmente critico (una sfuriata del capo? una scenata del partner?). Ogni volta in cui riuscite a non scivolare in una dinamica negativa, godetevi questo piccolo successo, anche se il rapporto è di 1 a 10. Piano piano migliorerete la vostra capacità di distaccarvi, quando serve. Ne guadagnerete in salute e in prospettiva: il miglior alleato del cambiamento, a pensarci bene, è la lucidità.
Non cercare di apparire migliori nell’epoca di Facebook, Instagram e Twitter è un gesto eroico. E lo è non solo nella vita sociale sui network, lo diventa ancora di più nel mondo reale: in ufficio, in presenza dei nostri familiari, amici o del partner. Alleniamoci per almeno un’ora al giorno a non cercare di apparire più belli, più giovani, più intelligenti o più bravi di quello che siamo. Riscopriamo come ci sentiamo dentro, una reazione spontanea, forse, può bastare anche agli altri. Ne guadagneremo in senso di libertà e immediatezza. Ma soprattutto, come dice Oscar Wilde: “Sii te stesso, tutti gli altri sono già occupati”.
La stagione vi ha già regalato il primo bagno di mare, o è un piacere che conservate per le prossime settimane? Qualsiasi sia la risposta, in questa puntata di Now vogliamo condividere con voi un piccolo rituale di bellezza e relax da vivere in spiaggia. Il mare, infatti, può regalarvi il miglior scrub del mondo, a costo zero e nel totale rispetto di Madre Natura. Basta sedersi sul bagnasciuga – preferibilmente al mattino o nel tardo pomeriggio, quando il Sole è meno forte – e ricoprire dolcemente il corpo di sabbia. Piedi, gambe, braccia… poi pancia, decolté, schiena… fino a ritrovarvi completamente impanate/i. Massaggiatevi con dolcezza al ritmo delle onde: dopo appena dieci minuti, la vostra pelle sarà liscia come la seta, pronta per ricevere i doni di una nuova estate. Dopo una bella nuotata, ricordatevi di idratare il corpo con un olio o una crema rinfrescante. Il vostro corpo e il vostro spirito ne usciranno rigenerati.
“Sono vegana, non mi piace cucinare, odio complicarmi la vita, non posso spendere molto per il cibo e ci tengo alla linea”, scrive Daniela Martino che vive nell’Appennino settentrionale d’Italia. Le sue abitudini quotidiane per far quadrare il cerchio sono interessanti, ma soprattutto fresche, locali, crude e poco manipolate. Eccone alcune particolarmente gustose. Zucca – farina di riso integrale – hummus: i miei tre alimenti quotidiani, indispensabili. I tre cardini della mia alimentazione. Ne preparo per diversi giorni e li tengo in frigo come “base”. Vediamo come. Zucca: intera nel forno a 170°C per un’ora o più a seconda delle dimensioni. Si cuoce da sola, mentre faccio altro. Freddata, via i semi (che tosto e mangio come spezza-digiuno, non si butta nulla), scavo la polpa e la omogeneizzo al minipimer; divido in porzioni e congelo. Farina di riso integrale: uso quella di riso Venere, color cioccolata, sa un po’ di nocciola. È la mia nutella, ma che differenza di calorie grassi zuccheri fibre! Anche di questa ne cuocio un po’, poi la metto in frigo dove dura per due/tre giorni. Apro il frigo, mescolo alla suddetta polpa di zucca cacao amaro e cannella per abbassare l’indice glicemico ed ecco il mio dessert quotidiano, senza zucchero né grassi. Hummus: è un cibo “mai più senza”! Me lo faccio io, quello per tutti i giorni senza olio, quello “della festa” con l’olio. Preparo, metto in vasetto e ne mangio per una settimana. Ceci secchi bolliti + semi di sesamo (1 sacco da 5 kg dura 10/11 mesi e costa molto meno) + cumino + succo di limone = hummus. Ha un costo ridicolo, è buonissimo con pane, verdure crude, pasta e fa bene. Per farlo bastano una pentola di coccio e un macina spezie elettrico per i semi, che poi va bene anche per il caffè. I ceci si cuociono da soli, per tostare e macinare i semi ci vogliono cinque minuti.
Quella fila allo sportello che non ti aspettavi, l’ennesimo semaforo rosso quando sei già in ritardo, l’ascensore che non arriva mai, il tuo collega in ritardo. E se i tempi vuoti si riscattassero dallo stress di una vita in corsa e diventassero nostri alleati? Un’occasione per riconnettersi, respirare, approfittare del momento e sentirlo vitale. Dai trenta secondi rubati al semaforo, alle interminabili file negli uffici pubblici, a quel momento dopo la corsa per arrivare puntuali, quando l’altra persona non c’è: tutte situazioni che possono aiutarci ritrovare la concentrazione, il ritmo del respiro e una visione più ironica sulla giornata. Tempo inaspettato per ricordarci chi siamo e soprattutto cosa sentiamo in quel preciso momento. “La pace si coltiva in ogni passo”, dice Thich Nhat Hanh, il monaco buddista che con la sua meditazione attiva è riuscito ad appianare diversi conflitti durante la guerra in Vietnam.
Appena svegli, prima del caffè, prima dei pensieri organizzativi, prima di “rientrare” in noi stessi, beviamo un bel bicchiere di acqua a temperatura ambiente con un limone spremuto e una punta di cucchiaino di miele. È uno dei rimedi più antichi e semplici. Già utilizzato dalla medicina orientale ayurveda per riequilibrare l’organismo e depurare il fegato, è oggi consigliato per il suo alto contenuto in vitamina C e potassio. Aiuta inoltre la digestione, ripulendo le tossine accumulate nel tratto digerente e stimolando la funzione enzimatica. I limoni contengono inoltre fibre di pectina, che aiuta a contrastare il senso di fame e nonostante siano naturalmente “acidi” riequilibrano il pH nel sangue. Acqua e limone rimuovono l’accumulo di acido urico nelle articolazioni e riducono il desiderio di caffeina.
La persone che ci circondano non leggono i nostri pensieri, almeno nella maggior parte dei casi. Siamo in grado di esprimere quello di cui abbiamo bisogno, o non ne abbiamo, senza sentirci in colpa o offendere qualcuno? Si tratta di uno strumento importantissimo. Essere consapevoli e avere rispetto delle nostre necessità aiuta a rispettare quelle del prossimo. Ed essere capaci di esprimerle con naturalezza e senza retro pensiero è fondamentale per vivere meglio e per poter ascoltare gli altri. Quando ci troviamo sul bivio tra l’accettare qualcosa che non ci piace o dirlo forte, buttiamoci. A volte ci si affeziona di più a un discorso impacciato che a un silenzioso risentimento.
Può capitare di arrivare a questo momento dell’anno particolarmente stanchi e spompati. E di provare anche un certo fastidio, perché ci vorremmo carichi e in forma per l’estate e le vacanze – si spera imminenti. Le giornate sono lunghe, piene di luce, e la sera sale una brezzolina che ci fa pensare che restare a casa sia quasi un peccato. Eppure, siamo stanchi, irrimediabilmente stanchi. La soluzione è molto semplice: slow down, rallentare il ritmo, provare a sintonizzarci su una frequenza più lenta. Imparare a declinare un invito, a risparmiare energie e ascoltarci in maniera più profonda. Riuscire a fermarci, proprio mentre tutto intorno a noi si muove alla velocità della luce. Per alcuni – compresa chi scrive – non sarà facile. Ma ogni momento di silenzio in più, ogni attimo di raccoglimento, sarà una piccola coccola rigenerante per il nostro sé abituato a correre da una parte all’altra.
Chiederci cosa ci rende felici è una domanda ricorrente, pressante e forse a volte ansiogena. Proviamo a fare il contrario: elenchiamo cinque attività giornaliere che ci rendono infelici, quindi confrontiamole con colleghi e amici. Le risposte possono essere disparate ed esilaranti, e forse già di per se stesse fonte di buonumore. Il riscontro più comune negli Stati Uniti è: trascorrere tempo con il proprio capoufficio. Osserviamo la nostra lista di cose terribili: potremmo addirittura ribaltare la nostra opinione e dire che insoddisfazione e amarezza derivano da una costante e inarrivabile ricerca della felicità, piuttosto che dall’essere costretti a impegnarci in attività indesiderate? Proviamo per una volta a smettere di desiderare cose e situazioni diverse e buttarci a capofitto nel presente, qualunque esso sia. I risultati potrebbero essere sorprendenti. In fondo, questa rubrica si chiama proprio Now.
Restiamo in tema di vacanze. Tutti sappiamo quanto può essere stressante preparare la valigia. E come è facile rischiare di ritrovarsi con un bagaglio monster, pesantissimo e difficile da trasportare, oltre che pieno di cose che alla fine non useremo. Per quest’anno, proviamo invece a limitarci al minimo indispensabile. Mettiamo in valigia solo poche e fondamentali cose, senza per questo dover rinunciare a qualche sfizio (nessuno vi sta proponendo un look monastico, anzi!).
Va bene, siamo d’accordo. Una vacanza “consapevole” non può consistere solo nel partire all’alba per andare in un posto sperduto dove probabilmente digiunare, fare yoga tutto il giorno, oppure camminare o navigare per ore e non parlare con nessuno. Una vacanza mindful è prima di tutto la ricerca di un luogo interno. Il nostro spazio di connessione, presenza e voglia di vivere il prossimo minuto di esistenza con tutta la passione, la forza, l’energia e la creatività di cui siamo capaci. Chiediamoci: esiste un luogo fuori di noi che ci può aiutare a provare tutto questo? Se sì, andiamoci di corsa!
Dedicato ai praticanti di yoga e agli aspiranti tali. La continuità in questa disciplina è fondamentale, ma non è sempre facile trovare il tempo o la motivazione. Ricordiamoci che non tutto dev’essere perfetto, o come lo immaginiamo: una lezione intera di yoga con un insegnante che c’ispira è certamente la soluzione migliore. Ma se non è possibile, dieci minuti di respiro e concentrazione sono meglio di niente. E se proprio non abbiamo neanche quel tempo, allora optiamo per una sola posizione: due minuti. Personalmente in questi casi estremi preferisco Adho Mukha Svanasana, il cane che guarda in giù. Le gambe sono divaricate secondo l’ampiezza del bacino e tutto il corpo forma un triangolo, dove la schiena si allunga. Il torace e le spalle lavorano per creare spazio in modo da formare una linea continua e fluida con le braccia. Il collo è rilassato e asseconda il peso della testa, allungando le vertebre cervicali. L’estensione e inversione assiale della colonna favorisce una respirazione profonda e l’irrorazione sanguigna di capo e gli organi interni. Le ginocchia possono essere tese o leggermente piegate (al mattino siamo un pochino più legati del solito) e i talloni tendono verso terra. La posizione contribuisce ad aumentare il livello energetico di tutto il corpo e stimola le ghiandole endocrine. Se avete tempo per una sola posizione al mattino, qual è quella che funziona meglio per voi? Sperimentate!
Quando qualcuno ci chiede “come stai?” azzardiamo un micro esperimento. Evitiamo di rispondere subito in maniera automatica. Prendiamoci il breve tempo di un respiro profondo. Buttando fuori l’aria dal corpo registriamo la sensazione interna, come in un rapido check-up, e quindi rispondiamo. Cerchiamo di trovare un riscontro realistico e oggettivo, non necessariamente drammatico o fantasioso. È facile passare dall’elenco di tutti i nostri crucci degli ultimi cinque anni a un indifferente “bene, grazie”. Troviamo invece un modo ragionato e creativo di rispondere che si avvicini il più possibile alla sensazione interna e descriviamola senza troppa enfasi emotiva. Senza drammi, senza bugie o esagerazioni positive. La semplice registrazione di un dato di fatto. In fondo, potremmo decisamente stupire noi stessi e il nostro interlocutore.
Soprattutto in vacanza è facile farsi prendere dal “tic fotografico”, ossia dall’istinto di fare fotografie a raffica, nell’illusione di poter bloccare nel tempo l’attimo presente, il Now appunto. Eppure, la bellezza del Now sta proprio nel suo essere qui e ora, senza riverberi del passato e senza proiezioni nel futuro. Allo stesso tempo, quando ci troviamo di fronte a un panorama mozzafiato o al sorriso più spontaneo della nostra migliore amica, sappiamo tutti quanto sia bello immortalare quel momento, così da poterlo regalare in futuro a noi stessi agli altri. Il consiglio non è dunque di abbandonare a casa macchina fotografica o smartphone, ma piuttosto di scattare solo dopo aver goduto del qui e ora con tutti i nostri sensi. Tra uno scatto e l’altro prendiamoci il tempo per sentire davvero il posto in cui siamo, o gli occhi che abbiamo di fronte. Vi è mai capitato di trovarvi in un luogo meraviglioso – o magari di fronte a un’opera d’arte – e vedere intorno a voi persone in preda al raptus fotografico, incapaci di fermarsi un secondo a contemplare? Bene, con tutta la tecnologia che ci ritroviamo tra le mani, il rischio di cadere in questa “trappola” è sempre più insidioso. Proviamo a lasciare alla nostra retina il tempo di imprimere un’immagine nella memoria, prima che sulla memory card.
Il bello di essere in vacanza è anche poter cambiare orari, abitudini, cibo e panorami. Una serie di novità, una sferzata di energia diversa nella nostra vita che ci aiuta a vedere il mondo da prospettive diverse. Ma se il rientro è difficile e facciamo fatica a riprendere il ritmo, ricominciamo dalla nostra routine sonno-veglia. Se è difficile addormentarsi o ci svegliamo troppo presto assaliti dai pensieri, proviamo qualche semplice rimedio prima di affidarci a pillole che possono creare dipendenza. Manteniamo costanti gli orari in cui andiamo a dormire e ci svegliamo, facciamo almeno mezz’ora di esercizio quotidiano (una passeggiata va benissimo), evitiamo alcolici la sera e organizziamoci un piccolo rituale prima di andare a dormire, come un bagno caldo, musica rilassante, una buona lettura e niente apparecchi elettronici. Se alcuni pensieri ripetitivi ci perseguitano, scriviamoli su un foglio di carta e ripromettiamoci di affrontarli al mattino dopo una ritemprante notte di sonno. Sogni d’oro.
Pubblichiamo con grande piacere la lettera di Claudia, un’indomabile donna di 37 anni che si definisce in sovrappeso da sempre e con alle spalle la solita Via Crucis di dietologi, nutrizionisti e “azzeccagarbugli” vari. Un bell’esempio di semplicità e saggezza per tutti noi. I miei segreti per vivere meglio sono pochi e semplici: svegliarsi la mattina di buon’ora, aprire le finestre per far entrare la luce e dare il via alla musica. Il mio rapporto con il cibo è cambiato da quando ho imparato ad applicare i principi dell’Intuitive Eating. Dopo una vita di caffè amaro e due tristi fette biscottate dietetiche, ora faccio una colazione abbondante: caffè, spremuta di agrumi, frutta, una bella dose di carboidrati e un bicchiere di acqua e limone, a digiuno. Negli anni ho imparato che la dieta migliore è quella che mi detta il corpo e non un dottore. Mangio quando ho fame e mi fermo quando sono sazia. Cerco di masticare lentamente e godermi quello che ho nel piatto e mangio per la maggior parte cibi e prodotti non raffinati. Sto molto attenta al cibo e leggo sempre con attenzione gli ingredienti contenuti nei vari prodotti. Cerco di mangiare e vivere in modo “consapevole” perché credo sia la chiave per vivere bene. Il mio girovita è cambiato quando ho deciso di cambiare vita e, da pigra che ero, ho cominciato a muovermi. Prima erano solo corte e sporadiche camminate sul tapis roulant, che tenevo da anni nascosto sotto cumuli di vestiti, poi ho cominciato a uscire di casa e a sfruttare lo splendido lungomare della mia città, cuffie nelle orecchie e scarpe da ginnastica ai piedi e poi è arrivata “lei”, la fitboxe. Oggi mi alleno due volte a settimana, in palestra, seguendo lezioni di fitboxe divertenti quanto faticose, ma che mi aiutano a sfogare tutto lo stress accumulato e il resto della settimana cerco di camminare almeno mezz’ora al giorno e di fare un’altra mezz’ora di addominali e stretching, di preferenza la mattina appena sveglia. Il mio girovita è cambiato anche quando ho cominciato a non trattenere più le emozioni e i sentimenti, belli o brutti che siano. Dire un “no” in più agli altri a volte vuol dire un “sì” in più a se stessi e non c’è niente di male in questo. Ho abbandonato il senso di colpa per non essere mai “abbastanza” per gli altri e ho cominciato a sentirmi subito meglio, più leggera. Far pace con me stessa mi ha anche portato ad acquisire sicurezza come donna e a non nascondermi più, per paura di venir ferita. Oggi ho un compagno che amo e che mi ama e con il quale non devo mai fingere di essere diversa da quella che sono. È vero, non sempre è facile avere un atteggiamento positivo nei confronti della vita. Ci sono giornate in cui non vorrei neanche aprire le finestre, ma rimettermi a dormire e svegliarmi il giorno dopo, ma non lo faccio. È in quei momenti che ripenso a quella che ero e il ricordo mi dà la spinta per alzarmi e andare avanti. Non so se sono una “guerriera”, ma so di essere una donna che ha lottato e ora mi godo la mia pace.
La nostra mente ha bisogno di verde e di blu. Come abbiamo scritto qui, diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato i benefici sul cervello derivanti dall’essere immersi nella natura, o anche solo dall’osservare un quadro o la fotografia di un paesaggio. Questi benefici – misurabili con il rilascio di sostanze chimiche collegate alla felicità, come dopamina, serotonina e ossitocina – si fanno ancora più consistenti quando siamo noi stessi, con le nostre azioni, a prenderci cura della natura. Un istinto che, dopo un’estate passata all’aria aperta, potrebbe prendere il sopravvento sulla nostra pigrizia. Purtroppo non tutti disponiamo di un orto o di un giardino per dare libero sfogo al nostro pollice verde, ma guai a sottovalutare il valore di un piccolo balcone o di un angolo del nostro monolocale. Persino la scrivania del nostro ufficio può ospitare un po’ di vita verde, pronta a restituirci un po’ di ossigeno anche nei momenti più stressanti. Prendersi cura di una pianta è una carezza per l’anima, l’ambiente circostante ve ne ringrazierà.
I cieli di settembre hanno un fascino particolare. Soprattutto al tramonto. Insieme al sole, ogni giorno si corica un pezzetto di un’estate più imprevedibile che mai – metafora di tutto ciò che vorremmo controllare, ma è più grande di noi. A settembre le giornate sono ancora lunghe, il tempo ancora mite, i caffè sono ancora all’aperto. Ogni minuto di questo tempo è prezioso, una piccola provvista per il tempo che l’autunno e gli impegni ci obbligheranno a trascorrere al chiuso. Proviamo a godere di questi momenti a ‘mente piena’ – nel senso di mindfulness, non certo di ingorgo dei pensieri. I tramonti, ad esempio, o “l’ora blu” – quella parte favolosa del giorno il cui il sole è già tramontato, e la notte non è ancora arrivata. Cerchiamo di essere fuori, all’aria aperta (anche sul balcone o in strada), quando avvengono questi piccoli miracoli. A volte basta davvero poco per riconciliarsi con il mondo!
Gli eroi tradizionali si conoscono: medici, soldati, missionari, vedette, reporter e chiunque (essere umano o animale) abbia sacrificato la propria vita per quella di qualcun altro. Ma che dire di chi lavora seduto davanti a un computer con la tastiera sotto le dita? Quali sono le virtù di un bravo lavoratore d’ufficio? Non potrà mai essere un eroe? Forse i moderni paladini informatici sono quelli che non si fanno prendere dalla nevrosi, che riescono a mantenere una visione chiara di quello che stanno facendo e del perché lo fanno anche dopo dieci ore di riunioni, telefonate, email e produzione di documenti e altro materiale. Forse gli eroi in ufficio sono quelli che si ricordano di essere corretti, generosi e attenti anche quando si sentono mentalmente spossati o addirittura abusati. Forse gli eroi che ticchettano a piena tastiera sono quelli che restano presenti a se stessi in ogni situazione, non dimenticano “come” si sentono e quello di cui hanno bisogno. Sanno in ogni momento come sta il proprio corpo e la propria mente, così come quella dei colleghi accanto a loro. Gli eroi d’ufficio sono quelli che non si fanno alienare dalla falsa produttività e riescono a vivere nel presente in ogni situazione.
Il possesso è un fattore sopravvalutato? La crisi economica ha portato con sé un enorme fardello di nuove difficoltà e pensieri nella vita di molte persone. Ma tra le soluzioni obbligate che sono emerse non tutte sono da buttare. Naturalmente è impossibile vivere senza possedere qualcosa e avere una casa, una macchina e altri oggetti di vario tipo può essere una comodità. Ma per certe persone il possesso interferisce con la possibilità di essere felici nel presente e diventa un’ossessione dalla quale è difficile liberarsi. Un’ansia proiettata sul futuro per quello che si vorrebbe avere e ancora non si possiede, oppure la disperazione per quello che si è perso. Se andiamo alla radice del problema non possiamo non notare che tutto è “transitorio” e per questo non realmente nostro, anche le stesse cose che c’illudiamo di possedere. Non sappiamo la durata della nostra esistenza e questo pensiero può trasformare in una profonda gioia utilizzare oggi la nostra stanza da letto, il letto, la cucina dove ci prepariamo da mangiare e ogni mezzo di locomozione e comunicazione possibile. E una nuova fetta di mercato ci aiuta in questo senso: oggi è possibile affittare a lungo, medio e corto termine case, automobili, vestiti, biciclette, motorini, oggetti elettronici, mobili, gioielli e tanto altro. È possibile addirittura indulgere nel lusso: con una spesa di media grandezza possiamo passare una serata o partecipare a un matrimonio indossando vestiti firmati e gioielli di valore, pagando forse un ventesimo del valore d’acquisto. Non solo, non ci sarebbero più armadi traboccanti, niente oggetti dimenticati nei cassetti. Uno stesso capo o prodotto può essere indossato e utilizzato più volte da persone diverse. Benvenuto spazio ritrovato, benvenuta libertà.
Appena rientrati dalle ferie e già ci mancano i panorami, gli odori, il cibo, le diverse abitudini e attività sperimentate in vacanza. Viaggiare è fonte d’ispirazione e d’idee. S’imparano nuove cose, si conoscono persone diverse e magicamente cambia la prospettiva sul mondo. Non serve prendere l’aereo per ritrovare queste stesse sensazioni. Cerchiamo luoghi sconosciuti nella nostra città o in quella immediatamente vicino. Proviamo a prendere un caffè o un aperitivo in un locale diverso, in un posto dove non siamo mai andati, con persone sconosciute. Può essere sorprendente quanto ci si possa arricchire organizzando attività in quartieri ignoti della propria città. Potremmo ottenere la stessa sensazione vacanziera in una micro-fuga disponibile ed economica.
Se vogliamo davvero coltivare un’amicizia, non temiamo di mostrare le nostre vulnerabilità. Gli angoli bui della personalità, i difetti e le paure sono un tesoro prezioso nelle nostre relazioni, da donare e ricevere con cura. Rappresentano il succo dello scambio umano in grado di approfondire un rapporto e creare un terreno comune d’intimità e fiducia. Quelle che consideriamo le nostre debolezze sono i primi gradini del contatto con il prossimo, ma soprattutto di crescita. Le relazioni sono lo specchio di quello che non riusciamo o vogliamo vedere da soli, usiamolo! Avere il coraggio di mostrarci agli altri così come siamo è un passo fondamentale non solo per rinsaldare l’amicizia, ma anche verso l’accettazione della nostra essenza. È un esercizio che ci aiuta a non sprecare energie nel tentare di nasconderci e, in definitiva, ci fa sentire liberi.
Ci sono argomenti che vi mettono ansia al solo pensiero? Alcuni compiti, c’è poco da fare, difficilmente possono diventare piacevoli. Tenere traccia delle spese, preparare una dichiarazione dei redditi, gestire la corrispondenza, dipanarsi nel mare magum di codici e password a cui ci costringe la vita digitale… Attività come queste sono parte della vita di tutti noi, e possono diventare fonte di ansia e preoccupazione, se non sviluppiamo un approccio capace di essere allo stesso tempo “friendly” e funzionale. Il primo passo è fermarci un attimo a pensare se davvero abbiamo bisogno di una maggiore organizzazione per sentirci meglio. Se sì, proviamo a ricorrere a qualche piccolo stratagemma: magari un raccoglitore colorato con delle etichette scritte con cura potrà aiutarci a contenere la nostra allergia alla burocrazia. Proviamo a mettere ordine tra le nostre carte e le nostre password, concedendoci di propendere per soluzioni analogiche o digitali a seconda di cosa ci fa sentire più sereni (oggi ci sono decine di applicazioni che servono proprio a questo). Help yourself: potreste guadagnarne in tempo e in salute, evitando le faticose maratone di quando vi serve proprio quel documento… che chiaramente è introvabile.
Ve lo abbiamo già detto che, secondo noi, ballare fa bene all’anima? Beh, non ci stancheremo mai di ripeterlo: la danza è una porta d’accesso al nostro sé più profondo, un ponte capace di collegarci a qualcosa di più grande, lo si chiami Amore, Dio, Allah, Energia, Madre Terra e così via. Lo sapeva bene il maestro sufi Rumi, il cui ventiduesimo discendente sarà in Italia nei prossimi giorni insieme ai Dervisci di Konya (Turchia). Per chi avesse la fortuna di trovarsi a Milano il 22 settembre o a Roma il 23, vi segnaliamo l’evento “Invito all’Amato: dialoghi e danze dei Dervisci di Konya”.
Abbiamo letto e ascoltato molto sui benefici della meditazione. Sappiamo che migliora la salute, aiuta a produrre endorfine e a mettere nella giusta prospettiva pensieri ed emozioni. Ma soprattutto ci dà una mano ad agire piuttosto che a “reagire”. Da dove si comincia? Se abbiamo un impulso, ma non siamo ancora abbastanza determinati da trovare un maestro, ci sono alcuni libri che possono aiutarci a capire meglio. Ma ricordiamoci: assaggiare una fragola è ben diverso che guardarne la foto in un libro. a) Dovunque tu vada, ci sei già di John Kabat-Zin (Corbaccio benessere). L’autore è il più conosciuto promotore di una forma di meditazione laica, la cosiddetta mindfulness, oggi praticata in ospedali, centri di recupero, corsi di formazione e ovunque sia necessario ridurre lo stress, ritemprando la mente e lasciando andare la tensione nel corpo. Niente misticismo, niente religione, solo l’approfondimento e l’applicazione moderna di una pratica millenaria. b) Il gusto di essere felici: saggezza e benessere in ogni momento della vita, di Matthieu Ricard (Sperling & Kupfer). L’esperienza di un monaco parigino vissuto per trent’anni in Nepal, il cui cervello è stato studiato da neuroscienziati nell’Università del Wisconsin. Amico di Luis Buñuel, Igor Stravinsky e Henri Cartier-Bresson, genetista, autore di libri e oratore nelle conferenze TED, Mathieu Ricard riporta in maniera scientifica e narrativa la sua esperienza himalaiana. c) Il miracolo della presenza mentale. Un manuale di meditazione, di Thich Nhat Hanh (Ubaldini editore). Dal monaco vietnamita che ha affrontato la guerra nel suo paese attraverso l’esperienza meditativa, un incoraggiamento ad applicare le tecniche buddhiste per ottenere la presenza mentale in situazioni semplici o molto difficili. Lavare i piatti, bere una tazza di tè, camminare, o altri gesti quotidiani diventano così occasioni di approfondimento, benessere e crescita personale.
Religioso, ateo, sciamanico, mistico, individuale o collettivo, il rito ha origini antichissime e da sempre è stato una necessità umana, forse dimenticata. La nostra specie ha affidato a cerimonie i momenti più critici dell’esistenza e della collettività, come nascita, morte, caccia, guerra, pubertà, matrimonio, alla ricerca di un senso di appartenenza, ma soprattutto di affermazione della propria identità. Forse non sempre ci sentiamo conformi ai riti proposti dal mondo che ci circonda, ma questo non c’impedisce di crearne o adattarne di nuovi. Nei momenti di crisi, di passaggio o di particolare celebrazione, possiamo adottare un’infinità di luoghi e soluzioni. A volte basta accendere una candela, oppure possiamo trovare una musica, una danza, delle parole o un insieme di gesti che ci aiutano a rievocare una connessione interna, un senso di unità e armonia in un momento importante. Non vergogniamoci di celebrare il nostro rito. La cerimonia nasce da un istinto profondo e può essere utilissima, anche se molto privata.
Secondo il neuroscienziato Paul Zak, esiste una “molecola morale”: un ormone che ci rende altruisti, empatici e ci aiuta a scorgere l’aspetto positivo nelle nostre giornate. È l’ossitocina. Come averne in abbondanza? La ricetta per produrre ossitocina è relativamente facile: ballare, meditare, pregare o sottoporsi a un massaggio. Ma il metodo più semplice e consigliato dal dottor Zak, anche soprannominato Dr. Love, è abbracciare qualcuno. Otto abbracci al giorno assicurano un livello ottimale di ossitocina e ci rendono più felici, con ricadute positive anche a livello economico e professionale. “L’ossitocina è la molecola che ci fa sentire quello che gli altri sentono”- sottolinea Zak in una conferenza Ted – aumenta la fiducia nel prossimo e l’affidabilità delle persone, con ricadute positive anche a livello economico e professionale”.
Illuminiamoci, sì. Ma soprattutto al mattino. Svegliamoci presto ed esponiamoci alla luce per almeno 45 minuti, meglio se prima delle nove. Uno studio pubblicato su Plos One riporta che 54 persone sottoposte a questo trattamento sono risultate più magre e in forma di quelle che si svegliano tardi, indipendentemente dalla dieta, dalla durata delle ore di sonno e dall’attività fisica. Coraggio dunque, se desideriamo sentirci bene programmiamo la sveglia 45 minuti prima e organizziamo una breve sessione di yoga, un saluto al sole, una passeggiata, una meditazione o semplicemente una lettura del giornale alla luce del mattino. Il tutto vale anche in caso di nuvole e basta un balcone o una finestra, se non vogliamo uscire di casa.
Quante volte abbiamo avvertito il desiderio di influenzare la realtà con il pensiero? Il bello è che, talvolta, possiamo farlo per davvero. Bastano pochi semplici esercizi di visualizzazione per riporre nel cassetto almeno un po’ del nostro scetticismo. Queste semplici tecniche di visualizzazione possono aiutarci in vari aspetti dalla nostra vita: è proprio quando un ostacolo ci sembra insormontabile che la mente può diventare la nostra più grande alleata. Ecco il primo esercizio: Seduti sui talloni e con gli occhi aperti, effettuate una torsione del busto, volgendo lo sguardo alle vostre spalle (destra o sinistra è uguale, scegliete il lato che preferite). Le braccia devono restare morbide in grembo, non devono tirare né aiutare in alcun modo la rotazione. Quando avete raggiunto il massimo della vostra rotazione, memorizzate nello spazio il punto più estremo che il vostro sguardo riesce a raggiungere. Poi tornate in posizione neutra e chiudete gli occhi. Ora, tenendo gli occhi chiusi, visualizzate mentalmente il vostro corpo che ruota nella direzione che avete scelto… ruota, ruota e ancora ruota fino quasi a compiere un giro completo. Alla seconda rotazione “reale”, potreste accorgervi che il vostro sguardo ha superato – magari anche di un bel tratto – quello che poco prima vi appariva come il limite massimo. Esercizio due: Avvicinate una mano all’altra, con i palmi rivolti verso il viso. Sulla vostra mano ci saranno delle linee, fate coincidere gli inizi della linea grande immediatamente sotto le dita: dovreste ritrovarvi con i mignoli attaccati, l’uno affianco all’altro. A questo punto chiudete le mani nel mudra della preghiera e concentratevi sui diti medi. Con tutta probabilità, uno sarà leggermente più corto dell’altro. Memorizzate quale. A questo punto portate le mani in grembo e chiudete gli occhi. Tenendo gli occhi chiusi, visualizzate l’immagine del vostro dito “più corto” che inizia ad allungarsi… piano piano, un millimetro alla volta. Dopo qualche minuto, riaprite gli occhi e ricongiungete le mani, seguendo il percorso di prima. Qualcosa potrebbe essere cambiato….
Se le emozioni si aggrovigliano ai pensieri e tutto rimbalza nella nostra testa in un mondo di vie senza uscita, prendi una penna e scrivi. Scrivi a caso, comincia da una parola che assomiglia a quello che senti. Descrivi una forma, una sensazione, una struttura della situazione e della tua vita. Non serve essere poeti o esperti di prosa. Trasformare in lettere i processi mentali aiuta a chiarire la mente e guardare alcuni aspetti della nostra vita da una prospettiva diversa. Non è necessario tenere un diario quotidiano: il semplice esercizio di trasformare in parole una percezione non ancora definita o qualcosa che ci confonde riportandoci in un ciclo che sembra senza via d’uscita è un esercizio fondamentale. A volte, è ancora più costruttivo provare a scrivere subito dopo una pratica rigenerante: che sia yoga, meditazione, dipingere, una passeggiata, scalare una parete o semplicemente cucinare. Prendiamo carta e penna e vediamo cosa salta fuori con curiosità e senza giudizio. Trasformare in inchiostro il nostro mondo interiore può racchiudere svolte inaspettate.
“Ci deliziamo della bellezza della farfalla, ma raramente riconosciamo il cambiamento che ha dovuto attraversare per arrivare a tale bellezza”. Così diceva Maya Angelou, poetessa, attrice e ballerina statunitense scomparsa nel maggio di quest’anno. Il cambiamento, a pensarci bene, è l’unica certezza che abbiamo nella vita: qualsiasi sia la situazione, possiamo star sicuri che cambierà. Cambieremo noi – il nostro corpo e il nostro sentire – e cambieranno le circostanze esterne, perché è il movimento che rende viva la vita. Eppure molte volte ci crogioliamo su situazioni che ci sembrano immobili, o peggio ancora facciamo di tutto per resistere o evitare i cambiamenti. Proviamo invece ad abbracciare il cambiamento… i nostri chili in più, le rughe che raccontano i nostri sorrisi, gli “arrivederci amore, ciao” che ci siamo sentiti dire o che abbiamo avuto bisogno di dire. Facciamo spazio alle nostre conquiste, ai cambiamenti che ci rendono più pieni e ricchi di esperienze.
Vantarsi di dormire poco non è più di moda. Anche la scienza dimostra che perdere ore di sonno privilegiando il superlavoro, non garantisce un risultato migliore. L’idea che mentre dormiamo la mente abbandona totalmente il mondo circostante, in un oblio del presente, è superata e non vera. Una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Current Biology dimostra che durante le ore di sonno vengono processati stimoli complessi e che le informazioni raccolte durante la giornata possono essere utilizzate per prendere decisioni importanti. È già stato dimostrato come il sonno aiuti a consolidare le informazioni acquisite e alcune forme di apprendimento hanno luogo proprio mentre dormiamo. La domanda che resta aperta è: quanto del nostro istruttivo mondo onirico riesce a essere integrato nella vita di tutti i giorni? Dormire è fondamentale per il cervello e la totale mancanza di sonno può portare alla morte in due sole settimane. Il sonno è un fenomeno cruciale per gli esseri umani, così come per gli altri animali. Pianifichiamo le nostre giornate, ma impariamo soprattutto a pianificare le nostre notti.
Questo consiglio oggi arriva da un libro di cui abbiamo parlato qui, “Per un benessere della mente”, di Philippa Perry. Si tratta di un esercizio pensato per aiutarci a uscire, piano piano, dalla nostra comfort zone. Perché – per usare una celebre frase dello scrittore Neale Donald Walsch – tutti sappiamo che c’è del vero nel dire che “La tua vita inizia dove finisce la tua zona di comfort”. Prendete un foglio bianco e disegnate un cerchio al centro. All’interno scrivete esempi di attività che vi mettono completamente a vostro agio. Oltre il bordo scrivete qualche esempio di attività che siete in grado di svolgere, ma per le quali vi serve un certo sforzo: cose che vi creano un po’ di tensione, ma non tanta da impedirvi di compierle. Disegnate un cerchio più ambio all’interno intorno a questa serie di attività e, all’esterno, annotate le cose che vi piacerebbe fare, ma per le quali faticate a trovare il coraggio. Disegnate un altro cerchio ancora intorno a questa serie e poi scrivete esempi di attività che vi mettono troppa paura, ma che vi piacerebbe comunque provare. Potete disegnare quanti cerchi volete. È utile riflettere sulle cose che ci fanno sentire a nostro agio e su quelle che ci creano difficoltà, per poi provare a espandere la nostra “comfort zone”. Dovremmo tenere a mente che qualsiasi cosa proviamo a fare, la facciamo per noi […]. Lo scopo è espandere la nostra “comfort zone” a piccoli passi. Se tentiamo un salto troppo lungo, scavalcando più aree, passiamo dallo “stress buono” a quello cattivo.
Il titolo di un film, il nome di una persona, una via, un negozio o un paese: a volte lo abbiamo proprio sulla punta della lingua, ma non riusciamo a ricordare il nome o la parola esatta. La soluzione esiste e si chiama Hakini Mudra. È una posizione di yoga, praticata con le mani, che favorisce l’integrazione tra l’emisfero destro e sinistro e aiuta a ritrovare le parole dimenticate. Consigliata a chi si appresta a tenere una conferenza, spesso viene eseguita inconsapevolmente, anche da manager e personaggi pubblici.
Durante la giornata e il lavoro non sempre è facile mantenere il contatto con se stessi, il proprio respiro e la consapevolezza corporea. Condizioni che sono alla base di un benefico stato meditativo e di presenza fisica e mentale. Per ricordarci di coltivare uno o due minuti di riconnessione possiamo utilizzare piccoli stratagemmi, come quello di incollare un punto rosso adesivo in luoghi strategici della casa o dell’ufficio. I piccoli adesivi di carta si trovano in cartoleria e, probabilmente, non saranno neanche notati da colleghi o familiari. Oppure potrebbero suscitare curiosità e diventare così un’occasione per creare solidarietà e coinvolgere altre persone. Ogni volta che il nostro sguardo si posa su un punto rosso, ricordiamoci di rallentare, porre attenzione al nostro respiro, alla sensazione che ci trasmette il corpo e a una sensazione di unità interiore.
L’autunno è la stagione delle spezie: da assaporare nel cibo, in una tisana o da utilizzare nella preparazione di dolci e biscotti. Eccone alcune che favoriscono la digestione e ci aiutano a trovare la giusta energia mentre ci avviamo verso la stagione del letargo. L’antico sistema curativo indiano chiamato Ayurveda riconosce cinque spezie fondamentali per digerire: finocchio, coriandolo, cumino, cardamomo e zenzero. Da sempre, in India, si sgranocchiano i semi essiccati di queste piante alla fine del pasto e la scienza ci dice oggi che servono a stimolare diverse funzioni, tra cui: la secrezione di bile, l’aumento dell’attività enzimatica del pancreas e dell’intestino, la riduzione del senso di gonfiore, l’aumento del metabolismo di zuccheri e grassi, il miglioramento della flora intestinale, la velocità del transito del cibo nel tratto digerente.
Nel tram tram quotidiano non è sempre facile lasciare spazio all’artista che è in noi. Spesso ci dimentichiamo della nostra fantasia, della nostra capacità di immaginare e di trovare soluzioni creative. Eppure coltivare la nostra creatività è una delle cose più sane che possiamo fare per noi stessi. “Un adulto creativo è un bambino sopravvissuto”, ci ricorda Ursula K. Le Guin. Anche se un po’ mogio e rinsecchito, quel bambino da qualche parte c’è ancora. La fortuna è che ci sono millemila modi per risvegliarlo e nutrirlo, basta solo avere la voglia di riscoprire il gioco. A bloccare noi adulti, spesso, è la preoccupazione per la “riuscita dell’opera”. Pensiamo troppo a cosa dobbiamo fare per abbandonarci davvero alla gioia creativa, che finiamo per non creare più nulla. Così facendo rinunciamo a esprimerci con la forma e il colore, compriamo tutto e non costruiamo più nulla, negando alla nostra mente opportunità preziose per distendersi e rigenerarsi. Come spiegano diversi psicologi, passare qualche ora a colorare basta già a ripulire i nostri sistemi dallo stress. Basta mettere da parte l’ansia da prestazione e la fantasia farà il resto, pronta a sorprenderci con la sua capacità di resistenza.
L’emissione del suono ha un potere curativo e tranquillizzante di per se. “Canta che ti passa”, recita un vecchio detto. Anche se non ci sentiamo esattamente Maria Callas o Placido Domingo, proviamo il semplice vocalizzo delle sillabe fondamentali o di suoni a caso, proprio come fanno i bambini. Usiamo la nostra voce e la capacità di fare rumore senza pensarci troppo per almeno un minuto: sillabe, vocali, strane combinazioni o suoni irripetibili, non fa nulla. Osserviamo il tono, la velocità, la sensazione che provoca la nostra emissione sonora. Cerchiamo di capire la variazione del suono e la sua trasformazione, anche se in un breve lasso di tempo. Il livello acustico, lo stile e il tipo di emissione possono servire moltissimo a farci entrare in contatto con il nostro stato d’animo, esprimerlo fino in fondo ed eventualmente condurlo senza sforzo verso una vibrazione più adatta al luogo e al momento in cui ci troviamo.
Un mantra è la ripetizione di una serie di suoni, costituiti in genere da sacre sillabe sanscrite. Possiamo certamente pronunciare le frasi antiche ma, come suggerisce il monaco vietnamita Thich Nath Hanh, è una buona idea creare il nostro mantra personale, magari scrivendolo per poi utilizzarlo associato al respiro, inalando ed esalando sensazioni ed emozioni che vogliamo lasciare andare. Ecco qualche esempio: Mentre inspiro, sono consapevole della tensione nel mio corpo. Mentre espiro, lascio andare al tensione nel mio corpo. Mentre inspiro, rassereno la mia agitazione. Mentre espiro, sento la mia calma. Mentre inspiro, entro in contatto con l’aria fresca d’autunno. Mentre espiro, sorrido all’aria fresca d’autunno.
Halloween o non Halloween, la zucca è una delle protagoniste indiscusse dell’autunno. Buona, versatile e alleata della nostra salute, cogliamo l’occasione per decantarne le virtù. Innanzitutto, la zucca è un alimento ipocalorico: possiede soltanto 18 kcal per 100 g ed è costituita da circa il 95% di acqua. La zucca contiene potassio (342 mg), fosforo (44 mg), calcio (20 mg) e ferro (0,9 mg), mentre fra le vitamine presenti troviamo la vitamina A (600 mcg), la vitamina C (9 mg) e le vitamine del gruppo B: vitamina B1 (0,03 mg), vitamina B2 (0,02 mg), vitamina B3 (0,5 mg). Ha proprietà lassative, nutrienti, depurative e diuretiche, e per questo è consigliata in caso di insufficienza renale, dispepsia e astenia. I suoi semi, contenenti cucurbitina, sono tradizionalmente conosciuti per le loro proprietà vermifughe e svolgono inoltre un’azione antiossidante e protettiva delle membrane cellulari, oltre che preventiva nei confronti dei disturbi benigni alla prostata. Sono buonissimi sia da soli che nelle insalate. La zucca si presta a tantissime ricette e sperimentazioni culinarie, dalle zuppe ai risotti, dai dressing ai dolci. Per festeggiare adeguatamente Halloween, vi segnaliamo questa ricetta tratta da GreenMe su come preparare una gustosissima pumpkin pie.
Se abbiamo provato un milione di volte a eliminare o ridurre la quantità giornaliera di caffè senza successo, ecco a voi un potente sostituto: il tè matcha, forse la più energica bevanda antiossidante e dalle proprietà toniche, in grado di animare le letargiche giornate d’autunno. Si tratta di una qualità di tè verde giapponese ricco in polifenoli e aminoacidi, in grado di ridurre lo stress fisico e psicologico. La presenza di acido glutammico agisce, inoltre, sul sistema nervoso centrale migliorando il livello di concentrazione. Ricco in vitamine B1, B2 e beta-carotene, contiene anche caffeina, ma in quantità inferiore rispetto al caffè. Un tempo veniva utilizzato dai monaci buddisti durante le lunghe ore di meditazione. Oggi è diventato terribilmente in voga persino a Wall Street. Per il suo contenuto di caffeina, è preferibile consumarlo nelle ore del mattino, evitando la sera, specialmente prima di andare a dormire.
Tra le discipline individuali per migliorare l’integrazione tra mente e corpo troviamo il Falun Dafa o Falun Gong. È una pratica segnalata questa settimana da un lettore dell’Huffington Post, Roberto Schoellberger, che lavora come psicoanalista e da più di un anno la coltiva ogni giorno. Assomiglia lontanamente al Tai Chi, fa riferimento alla scuola filosofica buddista ed è nata anticamente come insegnamento privato. Dal 1992 è diventato pubblico in Cina grazie al maestro buddista Li Hongzhi. Osteggiato dal governo locale, come ogni disciplina spirituale tradizionale, il Falun Dafa è oggi diffuso in tutto il mondo, anche attraverso un sito internet che spiega i semplici esercizi in 41 lingue diverse. “Posso testimoniare un generale miglioramento mentale e fisico – ci scrive Roberto – Stabilizza la pressione arteriosa e il battito cardiaco (sono cardiopatico dal 2007) e non ho più avuto bisogno di aumentare le dosi dei farmaci. Inoltre percepisco maggiore agilità nelle spalle (ora riesco a raggiungere le scapole e spina dorsale) e della torsione del collo. Mi sembra di avere una mente meno dispersiva e più centrata con un netto miglioramento della memoria”. Per cominciare a praticare non è richiesta alcuna affiliazione, donazione, iscrizione. Il sito fornisce gli indirizzi dei gruppi più vicini per iniziare in modo personale e tenere contatti, il resto è lasciato all’autonomia dei singoli. La solidarietà ai praticanti Falun Dafa, perseguitati dal regime di Beijin, è un’altra ragione della scelta per il lettore della rubrica Now.
Prima di dormire proviamo a passare in rassegna ogni parte del corpo attraverso una scansione sensoriale legata al respiro. È facile perdere sensibilità e consapevolezza corporea durante il giorno. Riacquistarla prima delle ore di sonno migliora la qualità e la quantità di riposo. Sdraiati sul letto possiamo cominciare dai piedi, ne percepiamo la sensazione e concentriamo il respiro in quella zona del corpo per poi risalire piano: polpacci, ginocchia, cosce, bacino, schiena, pancia, petto, spalle, braccia e mani. Tutto al ritmo d’inspirazione ed espirazione. Terminiamo poi con il collo, la testa, il viso e gli occhi. Respiriamo in ogni parte del corpo, come se fosse un modo per fare pulizia e rigenerarci. Per concludere, immaginiamo il nostro corpo immerso in un ambiente che avvertiamo come particolarmente rigenerante: l’acqua del mare o un bagno caldo, la morbidezza di un prato, della sabbia o di una tonalità di luce che ci piace. Proviamo a nutrirci solo per pochi minuti di questa sensazione e quindi abbandoniamoci ai sogni.
Il terzo punto di questa settimana lo prendiamo in prestito dai colleghi oltreoceano. È l’insegnamento che può darci la storia di Michael Rouppet, affetto dal virus dell’Hiv e membro della San Francisco AIDS Foundation. Ospite di HuffPost Live, Michael ha raccontato di come l’incontro con la meditazione trascendentale – tecnica amatissima, tra gli altri, dal regista americano David Lynch – gli abbia cambiato la vita. Michael ha iniziato a praticare questa tecnica di meditazione in un momento molto difficile della sua vita, mentre stava lottando non solo con le sue condizioni di salute, ma anche con la sua stabilità finanziaria. “Dopo vent’anni nella mia casa, sono stato sfrattato… Nel giro di qualche mese, mi sono ritrovato senzatetto, costretto a vivere in strada. Ho avuto difficoltà ad avere accesso ai miei farmaci, e nel mentre i miei linfociti T helper stavano diminuendo, e stavano diminuendo rapidamente. Ho iniziato a praticare la meditazione trascendentale sotto un ponte, in un campo con altri homeless. Gli effetti sono stati straordinari – profondi in pochi mesi”. Vi proponiamo qui sotto il video (in inglese) in cui è lo stesso Michael a raccontare la sua storia.