La legge per tutti. Durante i mesi estivi il fenomeno dell’abbandono degli animali domestici raggiunge le punte massime (leggi il recente fatto di cronaca del cane trovato morto legato alla catena senza nè acqua nè cibo).
Secondo i dati forniti dalla Lav (Lega Anti Vivisezione), si stima che ogni anno in Italia vengono abbandonati in media di 80.000 gatti e 50.000 cani, il 30% dei quali in prossimità della partenza per le vacanze. Si tratta di un fenomeno estremamente grave che mette a repentaglio non solo la vita degli animali – spesso destinati alla morte -, ma anche l’intera collettività, potendo subentrare dei rischi per le persone connessi all’eventualità di contrarre malattie dagli animali vaganti. Ma quali sono le conseguenze giuridiche dell’abbandono di un animale domestico? La conseguenze sono quelle previste e disciplinate dell’art. 727 del nostro codice penale che, al primo comma, testualmente prevede che “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro”.
Ora posto che secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 18892 del 13 maggio 2011) il concetto di abbandono deve ricomprendere non soltanto il distacco totale e definitivo dall’animale, ma anche l’indifferenza, la trascuratezza, la mancanza di attenzione e il disinteresse verso lo stesso, è facile comprendere come il fondamento della suindicata disposizione vada rinvenuto nell’esigenza che vengatutelato il sentimento di comune pietà verso gli animali che sonoesseri senzienti, dotati di una propria sensibilità e in grado di percepire il dolore che può derivare dall’abbandono e dalla mancanza di adeguate attenzioni.
La nozione di abbandono, ai fini dell’applicazione dell’art. 727 c.p., va, pertanto, decodificata non solo come precisa volontà di abbandonare (o lasciare) definitivamente l’animale, ma anche nella volontà di non prendersene più cura pur nella consapevolezza della incapacità dello stesso di non poter più provvedere a sé stesso come quando era affidato alle cure del proprio padrone. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte l’intento del legislatore è, pertanto, quello di tutelare il “diritto all’affetto” per gli animali, con il quale si intende il diritto per l’animale a ricevere le cure adeguate del padrone e a non essere abbandonato, estendendo le pene non solo al caso in cui l’animale venga lasciato da solo per strada, ma anche a quell’abbandono più subdolo che priva il medesimo delle “condizioni morali costituite dalla vicinanza e consuetudine comune di vita con il proprio proprietario”.
Infine, anche il legislatore europeo, con la Convezione per la Protezione degli Animali da Compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987, sempre nell’ottica di eliminare e/o ridurre al minimo il fenomeno dell’abbandono degli animali domestici , impone a colui che decide di tenere ovvero di occuparsi di un animale da compagnia, ben specifici obblighi fra cui quello di procurare all’animale, tenendo conto delle sue esigenze e dalla propria razza, sufficiente cibo ed acqua, di consentire all’animale di svolgere l’opportuno esercizio e di porre in essere tutte le opportune protezioni al fine di non consentirne la fuga.
Vorrei concludere questo articolo con una celebre citazione che riassume il giusto rapporto che dovrebbe sempre intercorre fra gli uomini e gli animali: “Gli animali sono creature di questa terra, sono nostri fratelli e quindi non è che si devono considerare oggetti a nostra disposizione. Sono esseri viventi che hanno capacità di amare e di soffrire e quindi dobbiamo trattarli proprio come fratelli, come fratelli minori. Noi abbiamo un cervello più potente, però non vuol dire che, per questo, dobbiamo abusare di loro” (Margherita Hack).
Studio legale Avv. Barbara Ponzi
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