Categoria: TG Vet

  • Il prp per cani e gatti

    Continuando a parlare dell’utilizzo del PRP nel cane e nel gatto, vediamo come agisce questo biostimolatore naturale. Con questa sigla ci si riferisce all’acronimo inglese Platelet-Rich Plasma, che in italiano possiamo tradurre come “Plasma Ricco di Piastrine”, Si tratta di un prodotto di derivazione ematica ottenuto concentrando le piastrine mediante un processo di filtrazione e centrifugazione del sangue.

    Il PRP è stato sviluppato nel 1970 per la cardiochirurgia ed è stato inizialmente utilizzato per contenere le perdite di sangue e velocizzare la guarigione delle ferite. Solo recentemente è diventato di comune utilizzo in molti campi della medicina, anche veterinaria.

    Il razionale utilizzo terapeutico del PRP nel cane e nel gatto si basa sull’idea che queste piastrine concentrate, una volta iniettate, rilasciano numerose sostanze che attivano localmente il processo di guarigione modulando l’infiammazione, la neoformazione di vasi sanguigni, la produzione di collagene, la moltiplicazione di cellule cartilaginee, ossee o tendinee. Le sostanze attive contenute nelle piastrine vengono comunemente denominate “fattori di crescita”, i principali sono:

    -il PDGF (Platelet Derived Growth Factor) Responsabile della crescita e della divisione cellulare,

    – il TGF β (Transforming Growth Factor beta), EGF (Epidermal Growth factor) Controllano la crescita cellulare e la differenziazione cellulare,

    – il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) Responsabile della creazione di nuovi vasi sanguigni e capillari,

    -ed inoltre l’IGF-1, l’FGF.

    IL PRP PER CANI E GATTI

    Il trattamento con plasma ricco di piastrine è proposto come terapia per molte patologie ortopediche e sicuramente è promettente per il futuro in molti altri campi medici. Bisogna tenere in considerazione il fatto che le risposte a questo trattamento non possono essere sempre le stesse in patologie diverse e soggetti diversi (sappiamo come un farmaco abbia capacità d’azione molto individuale, le risposte sono sempre soggettive).

    Il PRP è un trattamento medico specialistico, e come tale deve essere eseguito solo da medici veterinari con adeguate competenze seguendo protocolli specifici.

    Secondo la nostra esperienza, i rischi associati alla terapia con PRP sono minimi. Ci può essere un aumento del dolore al sito di iniezione, ma l’incidenza di altri problemi come infezioni, danni ai tessuti, e comunque significativamente inferiore a quella associata con infiltrazioni di farmaci antinfiammatori come il cortisone.

    Presso la Clinica Veterinaria Borgarello troverete due Dottoresse formate specificatamente sulla preparazione del Concentrato Piastrinico (PRP) per il cane e per il gatto. Grazie a loro ed ai nostri specialisti valutiamo ogni singolo caso per fornire la miglior cura personalizzata. Chiama Ora o Invia una mail.

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  • Shunt Portosistemico nel Cane e nel Gatto

    Shunt Portosistemico nel Cane e nel Gatto

    Lo shunt portosistemico nel cane e nel gatto è una comunicazione vascolare anomala fra la circolazione sistemica e quella portale che fa sì che una quantità significativa di sangue non passi attraverso il fegato, causando così alterazioni comportamentali e disfunzioni neurologiche dovute all’esposizione della corteccia cerebrale alle tossine assorbite dall’intestino.

    La deviazione del flusso ematico del fegato causata dalla presenza di un vaso anomalo permette al sangue proveniente dall’apparato gastroenterico di affluire direttamente alla circolazione sistemica senza essere “filtrato”.

    L’effetto di questo “bypass” sull’organismo è quindi legato sia all’impossibilità da parte del fegato di estrarre dal sangue alcune sostanze dannose quali ammoniaca, tossine ed i batteri assorbiti dall’intestino, sia alla riduzione del flusso ematico che ne consente il corretto funzionamento.

    Gli shunt portosistemici nel cane e nel gatto possono derivare dalla presenza di un vaso aberrante causato da un’anomalia congenita della comunicazione vascolare oppure da un complesso di formazioni microvascolari acquisite che si aprono in risposta ad un prolungato aumento della pressione portale a causa di una grave affezione epatobiliare.

    Esistono alcune predisposizioni di razza che suggeriscono l’esistenza di una base genetica per alcune di queste anomalie, ma si ipotizza anche che la maggior parte di loro derivi da insulti occorsi in gravidanza.

    Gli shunt congeniti sono suddivisi in extraepatici ed intraepatici.

    Gli shunt extraepatici sono vasi che connettono la vena porta, o uno dei suoi tributari, alla vena cava caudale oppure alla vena azygos. L’età degli animali colpiti varia fra 2 mesi e 10 anni, ma la maggior parte viene portata in visita quando ha meno di un anno.

    Sono più comuni nei cani di piccola taglia, senza predisposizione di sesso, e si osservano prevalenze elevate nei Cairn Terrier, Yorkshire Terrier, Whest Highland White Terrier, Carlino e Schnauzer nano.

    La maggior parte degli shunt intraepatici si trova invece in cani di grossa taglia, con prevalenza negli Irish Wolfhounds, Labrador, Golden Retriever e Pastori Australiani.

    Le anomalie congenite della vascolarizzazione del fegato, sia intraepatiche sia extraepatiche, sono più comuni nel cane rispetto al gatto.

    Per quanto riguarda il gatto, sembrano essere predisposti i soggetti maschi di età inferiore ai 3 anni, e sono considerati maggiormente a rischio gli incroci e le razze Persiana ed Himalayana. Nel gatto l’anomalia più comune è un singolo shunt extraepatico che origina dalle vene gastriche, spleniche e portali e si collega alla vena cava caudale.

    I riscontri alla visita clinica sono rappresentati da mantello scadente, scarso accrescimento, manifestazioni neurologiche quali demenza ed ottundimento che si acuiscono dopo i pasti, occasionalmente ingrossamento renale. E’ frequente l’intolleranza ad anestetici o sedativi. Segni meno comuni sono vomito intermittente, talvolta diarrea, ipersalivazione (prevalentemente nel gatto), aumento della sete e della produzione di urine e formazione di calcoli di urati.

    Il sospetto di shunt portosistemico spesso può insorgere in base all’anamnesi ed ai riscontri della visita clinica, ma per poter raggiungere la diagnosi è necessario un iter diagnostico piuttosto articolato, che comprende esami del sangue, diagnostica per immagini (ecografia, radiografia e tomografia assiale computerizzata).

    shunt-cane-gatto

    Le alterazioni comuni degli esami di laboratorio sono microcitosi, ipoalbuminemia, lieve aumento di ALP ed ALT, ipocolesterolemia, bassi valori di azotemia.

    Dopo aver effettuato gli esami “di base” si ricorre spesso anche alla misurazione dell’ammoniemia oppure della concentrazione sierica degli acidi biliari pre e post prandiali.

    L’ecografia addominale evidenzia spesso una riduzione marcata delle dimensioni del fegato e può consentire di visualizzare l’anomalia vascolare.

    La diagnosi definitiva si basa sulla dimostrazione dell’esistenza di un’anomala connessione fra la vena porta ed il circolo venoso sistemico mediante diagnostica avanzata, come TAC o risonanza magnetica.

    Quando non si può dimostrare l’esistenza di un modello vascolare portale anomalo, l’encefalopatia epatica si spiega con uno shunt portosistemico intraepatico microscopico o con la diffusa incapacità delle cellule del fegato di detossificare le sostanze nocive di derivazione enterica.

    La displasia microvascolare è una patologia in cui si osservano le caratteristiche cliniche dello shunt portosistemico congenito ma non si riesce ad identificare un’anomalia vascolare macroscopica.

    Per complicare il quadro delle anomalie vascolari, la displasia microvascolare si manifesta prevalentemente nelle stesse razze predisposte allo shunt portosistemico extraepatico congenito, ed in alcuni casi i difetti possono essere presenti contemporaneamente sullo stesso soggetto.

    Purtroppo questo difetto non può essere corretto chirurgicamente, quindi l’unica terapia possibile è il controllo dei sintomi clinici eventualmente presenti.

    La necessità di un iter diagnostico accurato prima di ricorrere ad interventi costosi ed impegnativi deriva proprio dalla necessità di escludere la compresenza di difetti correggibili chirurgicamente associati a difetti non operabili.

    Il trattamento chirurgico di elezione per la correzione di alcuni shunt è l’occlusione progressiva dei vasi anomali per ripristinare il normale flusso ematico portale.

    In linea generale, gli shunt extraepatici sono normalmente costituiti da un singolo vaso sanguigno e sono spesso trattabili chirurgicamente, mentre quelli acquisiti sono il risultato di una patologia che può essere primaria del fegato o che colpisce i vasi sanguigni all’interno dell’organo. Questo tipo di shunt è spesso costituito da più vasi e il trattamento chirurgico spesso non è possibile.

    In attesa dell’intervento chirurgico, o quando non è possibile eseguire l’intervento, i segni clinici correlabili all’encefalopatia epatica vengono tenuti sotto controllo mediante la terapia medica.

    L’aggressività della terapia medica dipende dalle condizioni cliniche del paziente: in casi gravi, quando si rileva anoressia, disidratazione marcata o crisi convulsive è necessario il ricovero in terapia intensiva.

    Spesso la terapia comprende il lattulosio, un farmaco che promuove l’acidificazione del contenuto intestinale, lega l’ammoniaca e riduce il numero di batteri.

    In alcuni casi si utilizzano antibiotici come metronidazolo, neomicina o ampicillina per controllare il numero di batteri presenti nell’apparato gastroenterico e la produzione di ammoniaca al fine di ridurre il rischio di traslocazione batterica e di infezione sistemica.

    Uno degli aspetti più importanti è la gestione nutrizionale, soprattutto negli animali giovani in condizioni scadenti: la dieta deve essere facilmente digeribile ed avere un modesto contenuto proteico di elevato valore biologico.

    I soggetti affetti da shunt portosistemico sono predisposti ad ulcere e sanguinamenti gastroenterici: si deve quindi prevedere l’uso di farmaci gastroprotettori ed evitare la somministrazione di alcuni farmaci (gli antiinfiammatori della classe dei FANS, ad esempio).

    E’ inoltre di grande aiuto somministrare integratori che contengano S-adenosyl-L-methionine (SAMe), acido ursodesossicolico, vitamina E e silimarina.

    Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello

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  • L’esame delle urine: i cristalli

    Un esame delle urine per essere definito completo e attendibile deve comprendere, oltre all’esame fisico e chimico, la valutazione del sedimento urinario e di conseguenza dei cristalli che possono essere presenti. Con il termine sedimento urinario si intende la porzione corpuscolata dell’urina che si deposita sul fondo della provetta in seguito a centrifugazione.

    I cristalli sono normali costituenti dell’urina; la loro formazione dipende soprattutto dal pH urinario, dalla temperatura e modalità di conservazione del campione e dalla concentrazione delle urine. Tuttavia certi tipi di cristalli, oppure un numero elevato di essi possono assumere un significato patologico. Alcuni di essi, ad esempio, si formano in seguito a patologie che inducono la produzione di metaboliti secreti nelle urine, che formano cristalli precipitando insieme ad altri elementi di origine renale, altri sono indice di calcoli urinari.

    Vediamo adesso insieme le principali tipologie e il loro significato:

    • Struvite (fosfato triplo): si trovano nelle urine con pH alcalino o lievemente acido. Presentano un tipico aspetto definito a “coperchio di bara”, appaiono come prismi con lati ed estremità appiattite. I cristalli di struvite si riscontrano spesso in pazienti affetti da infezioni del tratto urinario da stafilococco o con calcoli vescicali o renali. In questi casi si registra una concomitante reazione infiammatoria e un aumento del numero di globuli bianchi valutabili nel sedimento urinario.

    esame urine cristalli

    • Ossalato di calcio: possono presentarsi sotto due diverse forme ovvero ossalato diidrato ed ossalato monoidrato. I primi hanno forma definita a “busta di lettera”, piccoli e quadrati. Sono caratteristici di urine acide o neutre e in piccole quantità si riscontrano in urine di cani sani. Un numero elevato indica che il soggetto è fortemente a rischio di sviluppare calcoli. La seconda forma è caratterizzata da strutture piatte ed allungate con estremità appuntite. In caso di avvelenamento da glicole etilenico (anticongelante) i pazienti presentano spesso un elevato numero di cristalli di ossalato di calcio nelle urine, specie nella forma monoidrato.

    cristalli esame urine (2)

    • Fosfato amorfo: questi cristalli si trovano comunemente nelle urine e appaiono in forma di precipitato granulare amorfo, ovvero senza una precisa forma. Anche se presenti in grandi quantità non hanno significato clinico.
    • Urato d’ammonio: sono di colore marrone scuro, di forma rotondeggiante e con protrusioni irregolari. Sono un reperto frequente in pazienti affetti da patologie epatiche, soprattutto in quelli con shunt-portosistemici. Solamente nei cani di razza Dalmata questi cristalli non hanno un significato patologico in quanto essi presentano un’alterazione congenita del metabolismo delle purine (basi azotate) che quindi si accumulano dando origine ai cristalli.
    • Bilirubina: questi cristalli sono simili ad aghi di colore giallo- brunastro. Si osservano nelle urine molto concentrate di cani sani ma, se il loro numero è elevato, dovrebbero indurre il sospetto di un disturbo del metabolismo della bilirubina.
    • Cistina: sono esagonali, incolori, simili a lamine piatte. Non si riscontrano in soggetti sani ma in quelli affetti da una disfunzione metabolica (cistinuria), ovvero un difetto metabolico che interessa il trasporto della cistina e di altri aminoacidi attraverso i tubuli renali. Questi animali sono soggetti alla formazione di uroliti di cistina, essendo questa l’unica manifestazione clinica della
    • Xantina: sono cristalli sferici giallo-marroni che si formano in seguito alla terapia con allopurinolo, uno dei farmaci che in medicina veterinaria viene utilizzato per controllare il decorso della Leishmania.
    • Colesterolo: sono strutture piatte, voluminose e con angoli retti ben definiti. La loro presenza nel sedimento urinario non è frequente e non chiaro il significato di tale riscontro. Possono comparire in seguito ad emorragie del tratto urinario o malattie degenerative.

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  • La sindrome brachicefalica nel cane: il collasso laringeo

    Il collasso laringeo nel cane è una patologia in cui si assiste ad una progressiva deformazione dell’impalcatura laringea a causa della presenza di difetti congeniti a livello delle prime vie aeree.
    Il collasso laringeo si può presentare in seguito a traumi della laringe, causa più comune nell’uomo, ma nel cane e nel gatto la causa più comune è di tipo anatomico. Infatti questa è una patologia che interessa soprattutto le razze brachicefale.
    Alla base del problema sembra esserci il cosiddetto “Effetto Venturi” secondo il quale nei punti in cui la sezione di un condotto si restringe, la velocità del flusso aumenta mentre la pressione diminuisce. E la pressione negativa tenderebbe a far collabire verso il centro le pareti dell’organo cavo.
    Cerchiamo di spiegarci meglio.

    COLLASSO LARINGEO LARINGE NORMALE
    Nei soggetti brachicefali sin dalla nascita si assiste ad un anomalo rapporto tra tessuti duri e tessuti molli. Spesso le anomalie congenite più frequenti sono:
    -Stenosi delle narici
    -Ipoplasia delle cavità nasali
    -Iperplasia della mucosa rinofaringea
    -Macroglossia
    Tutte queste anomalie sono un vero e proprio ostacolo al flusso d’aria. Pertanto l’animale si troverà ad eseguire atti respiratori più intensi e laboriosi per vincere le forze ostacolatrici.
    Un atto respiratorio intenso provocherà un aumento della velocità dell’aria che arriverà ai polmoni. L’aumento della velocità dell’aria determinerà un aumento della pressione negativa soprattutto al livello delle vie aeree superiori compresa la laringe.
    Per fare un esempio basti pensare a quello che succede quando inspiriamo con il naso a bocca chiusa: ad ogni atto inspiratorio normale le narici subiranno dei movimenti quasi impercettibili; ma se proviamo ad eseguire un atto inspiratorio molto più energico allora noteremo che le narici tenderanno a chiudersi. Questo è esattamente quello che succede a tutti i distretti respiratori di un brachicefalo che per vincere le forze ostacolatrici sono costretti a “respirare più energicamente”.
    In particolare per quanto riguarda la laringe le cartilagini aritenoidi vengono “risucchiate” medialmente, ovvero al centro della laringe, durante l’inspirazione.
    In condizioni di normalità queste cartilagini durante la fase inspiratoria si “aprono” (fase di abduzione) proprio per permettere l’ingresso al flusso d’aria. Questo movimento è reso possibile grazie ai muscoli abduttori della laringe. In un brachicefalo la forza di inspirazione è talmente forte da rendere inefficace il lavoro di tali muscoli che non riescono a far ruotare le cartilagini ormai deformate.

    collasso laringeo cane 1
    Il collasso laringeo viene considerato come un processo patologico progressivo caratterizzato da diverse fasi evolutive:
    -STAGE I: corrisponde all’eversione dei sacculi laringei che sporgono nel lume glottideo coprendo le corde vocali;
    -STAGE II: i processi cuneiformi delle cartilagini aritenoidi si dislocano medialmente, mentre normalmente si trovano nella regione caudo-laterale della laringe;
    -STAGE III: i processi corniculati delle cartilagini aritenoidi collassano verso il centro, mentre i cuneiformi si sovrappongono con quasi totale occlusione dello spazio glottideo.
    SEGNALAMENTO: come già detto il collasso laringeo è particolarmente frequente in cani di razza brachicefala (Carlino, Bulldog Inglese, Bouledogue Francese, Boston Terrier), ma occasionalmente può essere rilevato in altre razze (Yorkshire terrier, Barbone nano, Chow Chow).
    Può essere già evidente a pochi mesi e a questa età può avere delle conseguenze drammatiche, pertanto è consigliabile la correzione chirurgica il più presto possibile.
    Nel gatto non è nota una forma di collasso laringeo, anche se in presenza di paralisi laringea è possibile rilevare anomalie simili.
    SEGNI CLINICI: I pazienti affetti da questo problema si presentano spesso con una dispnea inspiratoria più o meno grave, fino ad intolleranza all’esercizio, cianosi e collasso.

    COLLASSO LARINGEO

    La dispnea inspiratoria può mascherare gli altri segni risultanti dalla diminuzione dello spazio glottideo.
    Infatti il proprietario si preoccupa non tanto per i “rumori respiratori anomali” quanto per l’affaticamento, la riluttanza al movimento, il respiro costantemente affannoso, peggioramento del quadro con temperature ambientali maggiori.
    DIAGNOSI: La diagnosi è possibile con ispezione diretta della laringe, ancor meglio con l’ausilio di un endoscopio.
    L’esame si esegue in sedazione ma con un piano anestesiologico superficiale anche per poter valutare la motilità delle cartilagini aritenoidi.
    Il cane viene posizionato in decubito sternale con il collo esteso ed un supporto per tenere la testa leggermente sollevata rispetto al piano di lavoro.
    L’esame deve comprendere l’ispezione delle cavità nasali, del rinofaringe, dell’orofaringe e della trachea.
    I segni radiografici sono aspecifici, però è possibile assistere alla verticalizzazione dello ioide e alla dislocazione caudale della laringe.
    TERAPIA: In caso di eversione bilaterale dei sacculi è possibile eseguire una sacculectomia endoguidata, si utilizza cioè un endoscopio. E’ molto importante ricordare che la sacculectomia può essere effettuata laddove i sacculi siano di consistenza morbida e non fungano da “impalcatura” per la laringe stessa.

    COLLASSO LARINGEO sacculectomia
    I sacculi eversi cronicamente infatti possono presentarsi di consistenza dura trasformandosi quindi in veri e propri abduttori statici delle cartilagini aritenoidee nella loro porzione ventrale. La loro asportazione quindi è consigliabile qualora siano un vero e proprio ostacolo al flusso dell’aria andando ad occupare buona parte dello spazio glottideo.
    Il trattamento del collasso laringeo Stage II e III prevede il ricorso all’intervento di lateralizzazione della laringe e la correzione chirurgica degli altri difetti ostruttivi: narici stenotiche, palato molle sproporzionato.
    Se gli interventi suddetti fallissero si potrebbe ricorrere alla tracheostomia definitiva.
    Viste le drammatiche conseguenze di questa patologia si consiglia sempre la stadiazione della sindrome brachicefalica e in base a questa, la relativa correzione dei difetti anatomici delle prime vie aeree esistenti già in età giovanile. Questo permetterà ai nostri pet di vivere il più a lungo possibile.

    A cura della dott.ssa Katiuscia Camboni

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  • La dieta ad eliminazione nel gatto

    La dieta ad eliminazione nel gatto si rende necessaria se si vuole diagnosticare una reazione avversa al cibo. Questa tipologia di dieta nel gatto non è sempre facile da attuare soprattutto per i gatti che escono di casa e possono quindi anche mangiare all’esterno o quelli che in casa convivono con altri animali che hanno un regime dietetico diverso.

    Per ovviare a quest’ultimo problema se i gatti conviventi non hanno particolari problemi di salute che richiedono un’alimentazione specifica, si consiglia sempre di alimentare tutti gli animali con la stessa dieta.
    La durata minima di una dieta ad eliminazione è di 6 settimane, meglio ancora 8 se il proprietario è disponibile a proseguire e la composizione deve essere studiata con cura evitando le proteine che il gatto ha già mangiato in passato. Individuare  le proteine che il gatto non ha mai mangiato non è sempre facile in quanto i proprietari di gatti tendono a variare spesso il gusto dell’alimento e inoltre una scatoletta al gusto tonno ad esempio non ha all’interno solamente tonno ma anche altre proteine di origine animale.
    Spesso i gatti sono abitudinari e non accettano di buon grado l’introduzione di un nuovo tipo di alimento. Per ottenere la massima collaborazione dal proprietario si consiglia di provare più di un prodotto fino a trovare quello che il gatto mangia volentieri. Chiunque conosca i gatti sa quando può essere “insistente” un gatto se le sue richieste alimentari non vengono soddisfatte.
    La dieta ad eliminazione può essere fatta con diversi tipi di prodotti:

    -diete idrolisate utilizzano a seconda della marca diversi tipi di proteine (con alcune delle quali sicuramente il gatto ha già avuto contatti) che però subiscono un processo di idrolisi enzimatica che altera la struttura delle proteine alterandone l’antigenicità.  

    -diete monoproteiche che utilizzano una singola fonte di proteine e di carboidrati che devono essere accuratamente scelti sulla base della precedente alimentazione. Bisogna valutare attentamente l’etichetta dei vari prodotti perchè alcuni, nonostante riportino la dicitura di “ipoallergenico” contengono al loro interno altre fonti proteiche oltre a quella dichiarata in etichetta

    -dieta casalinga in cui è il proprietario a preparare il cibo per il proprio gatto. Ad oggi purtroppo non sono molti i padroni che hanno il tempo di effettuare una dieta casalinga ma questo tipo di alimentazione avrebbe il vantaggio di poter selezionare con certezza la fonte di proteine e di carboidrati.
    Al termine della dieta se il gatto continua a manifestare prurito si può escludere una reazione avversa al cibo e bisogna quindi indagare altre cause di prurito.
    Se invece il problema dermatologico è risolto dopo il periodo di dieta, il gatto dovrà essere sottoposto a una dieta di provocazione di 2 settimane con la dieta che veniva utilizzata in precedenza. Questo step è fondamentale per poter emettere una diagnosi di reazione avversa al cibo perchè la reitroduzione del vecchio alimento deve scatenare nuovamente la sintomatologia cutanea altrimenti il miglioramento potrebbe anche solo essere una coincidenza o dovuto ad altri trattamenti concomitanti.
    La ricomparsa del prurito potrebbe essere quasi immediata dopo la somministrazione del vecchio cibo o potrebbero volerci anche 2 settimane.
    Se il prurito ricompare bisogna fare l’ulteriore prova di reintrodurre la dieta ad eliminazione che deve riportare alla risoluzione dei sintomi. Se il proprietario vuole individuare l’allergene che provoca il prurito, le varie proteine dovranno essere reitrodotte ad intervalli di due settimane senza che il prurito ricompaia.
    Molto spesso i proprietari non sono disponibili a intraprendere tutto quetso lungo iter o comunque individuata una dieta con cui il gatto non ha problemi decidono di mantenerla a vita senza individuare con precisione l’allergene colpevole.
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  • Che cosa è il duprasi?

    Il duprasi è un piccolo roditore dal temperamento molto docile.

    Il suo nome scientifico è Pachyuromys duprasi ed è originario del nord Africa, dove vive in zone aride con scarsa vegetazione e scava gallerie profonde fino ad un metro.

    La particolarità del duprasi è la sua coda: è quasi completamente priva di pelo, ha la forma di una clava e misura circa 5 cm. Essa rappresenta per il duprasi un importante deposito di tessuto adiposo (nei soggetti sani ed in buono stato di nutrizione è ben arrotondata).

    Il suo corpo misura una decina di centimetri, è tozzo e rotondeggiante con una folta e soffice pelliccia, color agouti (grigia e marrone) dorsalmente e bianca ventralmente e dietro le orecchie. Il musetto è appuntito e dotato di lunghi baffi e grandi occhi. Il peso è di circa 60 grammi nelle femmine e di 80 grammi nei maschi.

    Che cosa è il duprasi - 2

    In natura il duprasi ha abitudini notturne, ma in cattività ha periodi di attività sia di giorno che di notte.

    E’ un animale insettivoro, cioè si nutre principalmente di invertebrati. La sua dieta, però, è integrata anche dall’assunzione di vegetali. In cattività l’alimento ideale è rappresentato da pellet per roditori insettivori contenente il 18% di proteine. Si possono inoltre somministrare piccole quantità di vegetali, grilli e farfalle notturne. Le larve di insetti vanno somministrati solo in piccole quantità, ed integrate con il calcio. Gli alimenti per criceti, a base di semi, cereali e frutta secca, sono da evitare.

    I duprasi sono sempre più diffusi come animaletti da compagnia. In casa andrebbero tenuti in ampi alloggi (preferibilmente a pareti lisce, senza sbarre) con il fondo pieno e un substrato abbondante di segatura o truciolato. La lettiera può essere pulita una volta alla settimana perchè i duprasi, essendo adattati ad un clima arido, producono scarsa urina e quindi tendono a sporcare poco il fondo. È indispensabile che siano presenti dei nascondigli come una casetta che può essere imbottita con del fieno morbido e sottile o della carta da cucina a pezzetti. L’ambiente può essere arricchito con tubi di cartone od altri giochini ed una ruota piena (quelle con le sbarrette sono pericolose per le loro zampette!) grazie alla quale l‘animale potrà svolgere attività fisica e “tenersi occupato”. Il duprasi adora rotolarsi nella sabbia, facendo dei veri e propri “bagni”. In commercio è presente una sabbia specifica per roditori adatta proprio a questo utilizzo.

    La temperatura ambientale ideale è di 24°C e l’umidità di 35-50%. 

    I duprasi possono essere tenuti anche singolarmente perché non soffrono la solitudine.

    Cosa è il duprasi - 1

    Per distinguere i maschi dalle femmine, a parte il peso maggiore nei maschi, bisogna osservare la distanza ano-genitale, maggiore nel maschio. Inoltre nei maschi adulti sono visibili voluminosi testicoli, mentre nella femmina dopo i 4 mesi di età sono visibili 4 paia di capezzoli.

    I duprasi raggiungono la maturità sessuale a circa 3 mesi di età. Per far riprodurre questi roditori il maschio e la femmina vanno messi insieme in un ambiente nuovo per entrambi, e osservati con attenzione per parecchi minuti per assicurarsi che non si azzuffino. Se la coppia si accetta, maschio e femmina vanno lasciati insieme per una settimana. In cattività i duprasi sono in grado di riprodursi tutto l’anno.

    La gravidanza dura all’incirca una ventina di giorni. La femmina costruisce un nido in cui alleva i piccoli, che sono in media 3 per parto (tra 1 e 7). Alla nascita i cuccioli sono molto immaturi, ciechi, sordi e privi di pelo, con un peso di circa 2,5 g. Poi, però, crescono velocemente, raddoppiando le loro dimensioni dopo la prima settimana di vita. A due settimane circa aprono gli occhi, a tre settimane di vita iniziano già a consumare cibo solido a 21 giorni di vita ed a quattro settimane sono svezzati. Dopo lo svezzamento è importante separare i figli dalla madre formando due gruppi di sesso opposto.

    La vita media di questo piccolo roditore è di circa 4 anni. Durante questo lasso di tempo è fondamentale effettuare dei controlli veterinari per prendersi cura al meglio del proprio duprasi: una prima visita per farsi dare tutti i consigli sulla gestione e per verificare la salute del nuovo arrivato e poi almeno un controllo all’anno.

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  • Regalagli un Sorriso

    Regalagli un Sorriso

    La prevenzione dentale assume un ruolo sempre più importante per il benessere dei nostri amici a quattro zampe (cane, gatto e roditori): parliamo di pulizia e detartrasi dei denti nel cane, gatto, conigli e roditori.
    Fin da cuccioli è necessario tenere sotto controllo i denti e le gengive e imparare a prendersene cura: i denti definitivi, in quanto tali, non si cambiano più!.

    Da una visita dentistica si è in grado di valutare lo stato generale della bocca, eventuali anomalie di dentizione e il rischio o meno di sviluppare patologie del cavo orale come gengiviti, stomatiti, parodontiti. La visita odontostomatologica (dentistica) è inoltre una buona occasione per abituarlo da subito alla manipolazione della bocca e ricevere indicazioni su una corretta igiene orale a casa. Mai come in questo caso prevenire è meglio che curare, è pertanto consigliabile rispettare i controlli periodici fissati in base alle condizioni della bocca del proprio animale sia esso cane, gatto, coniglio o roditore.

    Parimenti all’uomo, anche nei nostri compagni a quattro zampe una bocca sana e pulita può garantire salute, benessere e buona qualità di vita. Una bocca “sporca”, invece, ospita pericolosi batteri che, insieme a saliva, proteine e particelle di cibo portano alla formazione della placca dentale. Questa è in grado di causare infiammazione delle gengive e, se non opportunamente rimossa, favorisce il deposito di tartaro in grado di danneggiare tutta la cavità orale, causando parodontite fino alla perdita dei denti coinvolti. I batteri della placca possono anche raggiungere il sangue, con il rischio di gravi infezioni a carico di organi vitali come cuore, reni, fegato e polmoni, sempre più pericolose man mano che i nostri amici invecchiano.

    Noi della Clinica Veterinaria Borgarello consigliamo una visita dentistica routinaria come primo passo per proteggere la salute orale del nostro animale.
    Con una visita dentistica attenta e mirata si può valutare la necessità di una detartrasi professionale che permette di eliminare tutto la placca e il tartaro presente nel cavo orale, individuare ed estrarre eventuali denti malati e, infine, lucidare le superfici dentali per ridurre l’adesione di nuova placca. Poi si continuia con la pulizia quotidiana o settimanale dei denti sia nei cani che nei gatti.
    Ricorda che anche tu a casa puoi effettuare una prima valutazione della bocca del tuo animale: se vedi depositi gialli e marroni sulla base dei denti, gengive gonfie e arrossate, se percepisci alito cattivo o se noti che il tuo amico a quattro zampe ha difficoltà nel mangiare, è ora di una visita dentistica dal veterinario. Oltre a ciò, anche in assenza di particolari problemi un check-up di controllo andrebbe comunque eseguito una volta all’anno oppure ogni sei mesi se il tuo amico ha più di 5 anni.
    La Clinica Veterinaria Borgarello, sempre attenta al benessere dei propri assistiti, ha realizzato la campagna “Regalagli un Nuovo Sorriso” in cui offre a cani, gatti, conigli e piccoli roditori una Visita Dentistica gratuita:

    Se vuoi approfondire puoi leggere gli altri articoli sull’argomento pubblicati dallo Staff della Clinica Veterinaria Borgarello:

    Come lavare i denti al cane
    Prevenzione Dentale
    Cura dentale nell’animale Anziano

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  • Il rigurgito nel gatto

    Il rigurgito è l’espulsione passiva retrograda di cibo non digerito, acqua e/o saliva senza sforzo apparente: la differenza rispetto al vomito è dovuta al fatto che il rigurgito non prevede contrazione dei muscoli addominali. Questo fenomeno è provocato da un’anomalia esofagea che può presentarsi in qualsiasi punto dell’organo, ricordando un’importante differenza anatomica del gatto, rispetto al cane, ossia la presenza di muscolatura liscia nel terzo caudale dell’esofago (assente nei canidi).


    Le cause di rigurgito nel gatto possono essere:
    ü  esofagite: infiammazione dell’esofago da reflusso di succo gastrico
    ü  corpi estranei
    ü  stenosi esofagea acquisita: occlusione del tubo esofageo spesso conseguente ad esofagiti non trattate
    ü  compressione esterna con restringimento del lume esofageo: può derivare da un’anomalia dell’anello vascolare o da una neoformazione nel mediastino craniale
    ü  neoformazione esofagea: presenza di tumori dell’esofago quali carcinoma squamocellulare, linfoma oppure di granulomi o ascessi
    ü  alterazione della motilità esofagea (compreso il megaesofago): esistono diverse patologie in grado di provocarla come la miastenia gravis, disautonomia felina, intossicazione da piombo, malattie neuromuscolari sistemiche. Ci sono inoltre razze predisposte, soprattutto quelle orientali ed il siamese

    La sottile differenza “visiva” tra rigurgito e vomito contrasta con la grande differenza di approccio terapeutico, pertanto è molto importante l’anamnesi del paziente per poter inquadrare correttamente il sintomo; in casi dubbi, è consigliabile ricorrere a filmati. Altri elementi da tener in considerazione sono: età di insorgenza dei segni clinici, presunta ingestione di sostanze tossiche, farmaci o corpi estranei ed eventuali interventi chirurgici recenti, per la possibilità di reflusso di succo gastrico durante l’ anestesia.
    Spesso i gatti che rigurgitano evidenziano una concomitante perdita di peso nonostante un appetito mantenuto ed, in generale, uno stato del sensorio nella norma.  La presenza di altri segni clinici è dettata dalla causa sottostanti il rigurgito ad esempio, in corso di patologie neuromuscolari, si avrà una debolezza generalizzata oppure segni di tosse qualora il rigurgito abbia portato ad una polmonite ab ingestis.


     L’approccio diagnostico al rigurgito nel gatto prevede innanzitutto esami del sangue e delle urine, volti a stabilire lo stato generale del paziente ed eventuali complicanze  dovute a squilibri elettrolitici, anemia o presenza di patologia infiammatoria. L’esame radiografico del torace è un valido ausilio diagnostico, in particolare in corso di patologie quali: megaesofago, neoformazioni mediastiniche (linfoma, timoma), masse esofagee o periesofagee e corpi estranei radiopachi. Normalmente l’esofago non è visibile radiograficamente, se lo diventa, allora bisogna approfondire. L’endoscopia è un altro strumento utile per identificare anomalie strutturali, meno su quelle funzionali. Qualora i suddetti test siano risultati inconcludenti o si sia identificato un disturbo di motilità, è consigliabile procedere con un’indagine neurologica, ambito nel quale può ricadere il megaesofago.
    Il rigurgito è solo un segno di malattia, pertanto la terapia dipende dalla causa sottostante che bisogna risolvere: 
    ü  esofagite: è una patologia spesso sotto-diagnosticata perché spesso subdola nella presentazione, con conseguenze potenzialmente molto gravi quali la stenosi esofagea. Se si ha un minimo dubbio, pertanto, è accettabile instaurare una terapia ex juvantibus e valutare un eventuale miglioramento, anche prima di aver ottenuto una diagnosi definitiva strumentale: fluidoterapia per prevenire eventuali squilibri idro-elettrolitici da anoressia, sucralfato per bocca al fine di proteggere dal reflusso gastrico e antiacidi (omeprazolo, famotidina, ranitidina). In presenza di concomitante vomito è opportuno introdurre antiemetici come la metoclopramide, molto efficace per via endovenosa, dotata anche di attività procinetica o il maropitant ad esclusiva capacità antiemetica. In alcune situazioni si deve ricorrere ad una terapia analgesica, poiché l’esofagite può risultare dolorosa: gli oppioidi rappresentano un’ottima scelta, in particolare la buprenorfina. Importante risulta poi il supporto nutrizionale con predilezione per cibi a basso tenore di grassi sebbene l’obbiettivo sia far mangiare il gatto, quindi spesso bisogna provare alimenti differenti fino a trovare quello più gradito. Nei casi in cui il rigurgito persista e quando si è controllato il vomito, può essere necessario ricorrere ad una sonda alimentare gastrostomica in attesa di risilvere l’infiammazione esofagea. In casi molto gravi, al fine di prevenire l’evoluzione a stenosi esofagea, è opportuno utilizzare il prednisolone
    ü  stenosi esofagee: è un restringimento del tubo esofageo derivante da un’infiammazione grave o non trattata, generalmente entro tre settimane dall’insulto iniziale. Richiede un intervento chirurgico consistente nell’inserimento di una sonda a palloncino, procedura complessa e spesso da ripetere più volte


    ü  corpi estranei esofagei: i gatti possono ingerire vari oggetti (aghi, ami da pesca) e la possibilità di rimuoverli per via endoscopica dipende dalla forma, dimensione, tempo di permanenza ed eventuali complicanze dovute alla loro presenza in esofago. In casi estremi si deve ricorrere a rimozione chirurgica ma tale pratica non è esente da complicazioni soprattutto deiescenze della ferita o infezioni secondarie
    ü  neoformazioni esofagee: rare nel gatto. Il più comune tumore esofageo è il carcinoma squamocellulare. La rimozione chirurgica ha le stesse controindicazioni sopra descritte
    ü  malattie neuromuscolari: il loro trattamento si fonda sul riconoscimento dell’eziologia. In presenza di megaesofago si ricorre a terapie di sostegno e supplementari rivolte alla gestione della patologia sottostante. E’ sempre consigliabile somministrare alimenti di diversa consistenza, per stabilire quale sia meglio tollerato, preferibilmente a basso tenore di grassi, suddivisi in piccoli e frequenti pasti, conferiti tenendo la ciotola più in alto possibile in modo tale da favorire la progressione del cibo lungo il tubo esofageo e, quando possibile, tenendo l’animale in posizione eretta per quindici minuti (cosa difficilmente realizzabile coi felini!)

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  • Avvelenamento da cioccolata nel cane

    L’avvelenamento da cioccolata nel cane è un evento abbastanza comune soprattutto in questo periodo dell’anno in cui le nostre case sono piene di leccornie a base di cacao.
    La sostanza tossica contenuta nei semi di cacao è la teobromina ma la sua quantità nei comuni preparati alimentari è talmente ridotta da non costituire un pericolo per l’uomo.
    Negli animali domestici invece il metabolismo della teobromina è molto più lento e questo ne fa una sostanza potenzialmente pericolosa.

    Nel cane l’emivita della teobromina è di 17,5 ore e i segni clinici dell’intossicazione possono persistere per 72 ore. Sembra che circa 1,3 grammi di cacao per kg di peso corporeo sia in grado di provocare la comparsa di sintomi. Alcuni tipi di cioccolata  come quella al latte contengono quantità minori di teobromina e quindi danno sintomi a dosaggi maggiori.
    I segni più evidenti e meno gravi sono nausea, vomito, diarrea fino ad arrivare ad aritmie, convulsioni e morte. 


    Il trattamento medico che deve essere effettuato dal veterinario deve essere il più tempestivo possibile perché se le quantità di cacao ingerite sono rilevanti l’animale piò essere in pericolo di vita.
    La prima pratica è l’induzione del vomito se sono passate meno di due ore dall’ingestione altrimenti il trattamento mira al controllo della sintomatologia comparsa attraverso reidratazione, farmaci anticonvulsivanti e antiaritmici.  
    Nei casi dubbi e se si sospetta che il proprio animale possa aver ingerito cioccolata è sempre bene consultare il veterinario per capire se la dose potrebbe causare problemi.

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  • Malattia di von Willebrand

    La malattia di von Willebrand è una delle forme ereditarie più comuni nel cane ed è considerata un’alterazione dell’emostasi primaria. Per comprendere meglio l’eziologia della malattia occorre chiarire alcuni aspetti. Con il termine “emostasi primaria” si intende la prima parte del processo fisiologico che l’organismo animale mette in atto per arrestare il sanguinamento da soluzioni di continuo dell’albero vascolare.

    L’emostasi primaria è costituita da due fasi:

    • Fase vasale caratterizzata da un’iniziale vasocostrizione riflessa da parte del vaso interessato dalla rottura per evitare la minor perdita ematica possibile, a cui segue un rallentamento del flusso sanguineo.
    • Fase piastrinica che comporta l’adesione delle piastrine nel sito interessato, seguita dalla loro attivazione, liberazione dei fattori piastrinici e aggregazione di esse. Il susseguirsi di questi eventi a cascata porta alla formazione del tappo piastrinico in pochi secondi.

    La malattia di von Willebrand è causata da un’alterazione quali-quantitativa del fattore von Willebrand (vWf), una glicoproteina prodotta prevalentemente dall’endotelio dei vasi, la quale ha il compito di interagire con le piastrine e partecipare attivamente alla cascata coagulativa.

    Se ne riconoscono tre tipi:

    • Tipo 1: il vWf è ridotto ma non assente (valori inferiori al 50% del normale). E’ la forma più comune e causa dei sintomi da lievi a moderati. Le razze predisposte sono Doberman, Pastore tedesco, Akita , Airedale ed Manchester Terrier.
    • Tipo 2: il vWf è strutturalmente anomalo e non riesce a formare i multimeri più voluminosi che servono a renderlo attivo nella cascata coagulativa. Causa sintomi da moderati a gravi e le razze soggette sono Bracchi Tedeschi a pelo corto.
    • Tipo 3: il vWf è praticamente assente. I sintomi sono molto gravi in quanto manca completamente la capacità di adesione delle piastrine ai tessuti vascolari. Le razze predisposte sono cani da pastore Scozzese Shetland e gli Scottish Terrier.

    malattia von Willebrand

    Genericamente i sintomi che più caratterizzano la malattia sono epistassi (emorragia nasale), ematochezia (sangue nelle feci), ematuria (sangue nelle urine), anemia, eccessivo sanguinamento durante una chirurgia.

    Qualora il medico veterinario abbia il sospetto di tale patologia, sono diversi i test diagnostici cui è possibile sottoporre l’animale, come dalla valutazione del “tempo di sanguinamento buccale”, fino a test genetici attendibili al 100%.

    Una volta diagnosticata la malattia occorre prestare particolare attenzione alla vita che conduce l’animale. Bisogna infatti evitare che il cane si tagli anche solo con un bastoncino, giochi in maniera brusca o gli vengano somministrati farmaci anticoagulanti.

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