Categoria: TG Vet

  • L’Ancistrus

    L’Ancistrus

    L’Ancistrus è un pesce osseo di acqua dolce appartenente alla famiglia Loricaridae ed alla sottofamiglia Ancistrinae. E’ originario dei fiumi del Sud America, dove vive in gruppi su fondali principalmente ghiaiosi sopravvivendo anche in acque povere di ossigeno.

    Presenta un corpo allungato ed una grande testa dotata di una bocca a ventosa rivolta verso il basso. Comunemente ha una colorazione scura con macchie o striature più chiare. Esistono numerosissime specie e varietà che si distinguono per le dimensioni, da 10 fino a 19,5 cm, e per i colori differenti, tra cui l’albino. L’Ancistrus può anche cambiare colore, presentando macchie marmorizzate più chiare o più scure. Questo non è un segnale di malattia, ma è solo conseguenza di normali variazioni a causa di stress, dominazione o semplicemente di mimetismo.

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    I maschi si distinguono facilmente dalle femmine per la presenza di escrescenze carnose sulla testa che possono diventare molto lunghe nei soggetti più anziani.

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    Gli Ancistrus sono pesci molto comuni negli acquari d’acqua dolce tropicali. Hanno un carattere tranquillo e convivono serenamente con altri pesci anche di piccole dimensioni. Vivono bene in acqua con pH compreso tra 6 e 8, durezza di 6-15 GH e temperatura compresa tra i 23 ed i 27 gradi. L’acquario dovrebbe avere una capacità di almeno 100 litri per ospitare una coppia e dovrebbe essere dotato di grotte, legni o pietre accatastate che possano fungere da nascondigli durante la giornata. Questi pesci infatti vengono fuori solo la sera o la notte, momento in cui cercano il cibo. Oltre alle alghe ed ai comuni alimenti specifici presenti in commercio possono essere alimentati talvolta con insalata, spinaci, fette di patate, cetrioli, zucchine e piselli. Le verdure vanno lessate e messe sul fondo impedendo loro di galleggiare.

    Per quanto riguarda la riproduzione gli Ancistrus formano coppie fedeli nel tempo. La femmina depone le uova in fessure o cavità e le “incolla” alle pareti. Il maschio sorveglia le uova (fino a 200, di colore leggermente arancione e con un diametro di pochi millimetri) e poi si prende cura degli avannotti nei loro primi giorni di vita.

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  • Esame Urine Nel Cane e Nel Gatto

    Esame Urine Nel Cane e Nel Gatto

    Il metodo con cui si ottiene un campione di urine e la sua conservazione sono aspetti importanti e fondamentali per ottenere un risultato attendibile. L’esame delle urine (EU) è un procedimento analitico che fornisce importanti informazioni per una corretta interpretazione dei problemi nefrologici/urologici ed inoltre può essere d’ausilio in corso di altre patologie quali malattie endocrine, metaboliche, epatopatiche, disordini dell’emostasi, malattie infettive e/o immuno-mediate, intossicazioni ecc..

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    E’ un esame di semplice esecuzione, relativamente economico e che può essere effettuato direttamente in sede ambulatoriale. E’ per questo motivo che nell’iter diagnostico di molti problemi di medicina clinica, l’esame urine dovrebbe sempre essere eseguito contemporaneamente agli esami del sangue.

    Di seguito analizzeremo insieme vari aspetti che influenzano l’ottenimento di un campione di urine idoneo a fornire risultati attendibili.

    Metodo di prelievo

    I risultati dell’EU sono fortemente influenzati dal tipo di prelievo e dal tempo intercorso tra prelievo e analisi. I campioni possono essere raccolti attenendosi a uno dei seguenti procedimenti operativi:

    • Minzione spontanea: le urine raccolte per minzione spontanea si adattano bene per l’esecuzione della maggior parte delle determinazioni urinarie. E’ consigliato utilizzare contenitori sterili forniti dal medico veterinario o acquistati in farmacia, poiché barattoli casalinghi (anche se precedentemente lavati) possono alterare rilievi quali pH, determinazione delle proteine e qualità del sedimento urinario. L’ideale sarebbe, inoltre, scartare la prima e l’ultima parte del getto di urina, ma nonostante questo accorgimento vi sono degli svantaggi. E’ un metodo di campionamento non adatto a esami batteriologici poiché sono presenti contaminanti ambientali, di origine prepuziale, vulvare e cutanea.

    • Cateterismo transuretrale: è un metodo che permette di raccogliere il campione di urine attraverso un catetere che passando dall’uretra, giunge nella vescica dell’animale. E’ una modalità sconsigliata per l’ottenimento di risultati attendibili, in quanto si ha una sovrastima del sangue, delle proteine e soprattutto delle cellule uroteliali che esfoliano in gran numero per effetto del raschiamento che il tubicino di plastica provoca. Può inoltre essere causa di infezioni iatrogene delle basse vie urinarie e (soprattutto nei gatti) può essere difficile da eseguire se non con il paziente sedato. Tuttavia può essere l’unica soluzione di campionamento in determinate situazioni cliniche come per soggetti affetti da pollachiuria (emissione di piccole quantità di urina con elevata frequenza).

    • Cistocentesi: è la modalità più indicata per l’esecuzione di esami batteriologici ed è eccellente per la determinazione di tutti i valori urinari. Consiste nel prelievo di urina direttamente dalla vescica utilizzando una siringa sterile e una sonda ecografica che guida il medico veterinario nell’operazione.

    Conservazione del campione e tempo di esecuzione

    L’intervallo di tempo tra la raccolta e il momento dell’esame è essenziale per l’accuratezza dei risultati. Per l’esame di routine le urine dovrebbero essere processate entro 2 ore. In caso contrario dovrebbero essere refrigerate e analizzate comunque entro 12 ore. Nel caso in cui sia indicata, l’urocoltura (esame batteriologico) dovrebbe essere eseguita subito dopo il prelievo; se ciò non fosse possibile, le urine andrebbero refrigerate immediatamente. Il congelamento delle urine permette la conservazione di molte delle caratteristiche chimico-fisiche, ma impedisce l’accurata valutazione microscopica del sedimento (detriti molto piccoli e cellule presenti nelle urine) e della coltura batterica.

    Un eccessivo intervallo di tempo tra raccolta e analisi può indurre le seguenti alterazioni:

    • Proliferazione di batteri se l’urina è conservata a temperatura ambiente oppure morte di specie batteriche se refrigerata.

    • Variazioni del pH

    • Formazioni di cristalli

    • Lisi delle cellule e dissoluzione dei cilindri (aggregati di varia natura con forma cilindrica)

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  • Ipertensione sistemica arteriosa nel gatto

    Ipertensione sistemica arteriosa nel gatto

    L’ipertensione arteriosa sistemica nel gatto (più semplicemente definita: ipertensione) è una condizione patologica nota in medicina felina ma spesso sotto diagnosticata, che consiste in un aumento della pressione generale del sangue. La diagnosi di ipertensione non è così intuitiva ed immediata poiché il danno non sempre risulta evidente; le conseguenze, purtroppo, possono però risultare gravi, talora irreversibili,  data la natura degli organi a maggior rischio di compromissione (target organ damage- TOD) ossia occhi, cuore, cervello e reni. In linea generale la pressione sanguigna (blood pressure-BP) dipende dalla frequenza cardiaca (heart rate-HR), dal volume di sangue eiettato dal cuore (stroke volume–SV) e dalle resistenze vascolari periferiche (systemic vascular resistance-SVR).  Alla base del corretto mantenimento pressorio c’è un complesso meccanismo endocrino e neurologico coinvolgente il cervello, il cuore, i reni, i vasi e fattori tissutali locali.
    L’ipertensione sistemica arteriosa viene distinta in: idiopatica (o primaria) quando non si riscontrano evidenti patologie causali e secondaria ossia dovuta a malattie sottostanti identificabili quali: insufficienza renale cronica, ipertiroidismo, iperaldosteronismo primario, iperadrenocorticismo e feocromocitoma. La forma secondaria è quella più frequente nella specie felina e richiede un intervento terapeutico che gestisca sia la patologia in atto, che l’ipertensione derivante. Una terza possibilità, da tener ben presente quando si ha a che fare con i gatti, è un fisiologico aumento di pressione dovuto a eccitamento e ansietà in corso di visita veterinaria, con normale attivazione del sistema nervoso simpatico.
    L’ipertensione è una condizione dannosa soprattutto per i tessuti con ricca rete arteriolare di supporto e, in generale, per il sistema cardiocircolatorio: occhi, cervello, reni e miocardio, pertanto, sono più a rischio di compromissione rispetto ad altri distretti (TOD). A livello clinico, però, non sempre è presente un danno evidente a tali organi e prevalgono piuttosto i sintomi della malattia in atto, da cui deriva anche una condizione di ipertensione sistemica. A livello oculare una BP costantemente uguale o al di sopra di 160mmHg  può portare a retinopatie e corioidopatie con rischio di emorragie, edema e distacco retinico nonchè ifema, emorragie del vitreo e glaucoma.  A livello cerebrale,un elevato e protratto aumento di pressione del sangue è in grado di causare  encefalopatia e segni neurologici quali letargia, atassia, depressione grave del sensorio, segni vestibolari, oltre a possibile edema cerebrale e arteriosclerosi. A livello cardiaco ipertensione ed elevata SVR danno un aumento di carico a livello di ventricolo sinistro, favorendo l’insorgenza di un’ipertrofia cardiaca ventricolare sinistra concentrica. Per quanto concerne i reni, infine, frequentemente l’ipertensione rientra in un quadro più ampio di malattia renale cronica di cui tende ad aggravare la perdita urinaria di proteine (proteinuria).
    Vista l’importanza degli organi bersaglio a rischio di danneggiamentoto, si evince come una diagnosi precoce di ipertensione sistemica arteriosa sia più che mai necessaria. Questa condizione tende ad insorgere con maggior frequenza nei soggetti anziani, 13-15 anni di media, e il principale strumento per evidenziarla è la misurazione della pressione sanguigna, pratica che dovrebbe essere attuata routinariamente nella clinica, indipendentemente dall’età dei pazienti. Nella pratica ambulatoriale, per misurare la pressione sanguigna sistemica in gatti svegli, si usano tecniche indirette quali apparecchi doppler con sfingomanometri o oscillometri. Bisogna tener presente che il paziente felino è particolarmente predisposto allo “stress da camici bianchi” pertanto diventa fondamentale standardizzare la procedura seguendo linee guida che aiutino  a raggiungere l’obbiettivo riducendo al minimo il rischio di rilievi falsati dall’agitazione del gatto (ambiente “dedicato” tranquillo, a bassa rumorosità o stimoli stressanti; tempo tecnico per fare acclimatare il paziente; pochi operatori nella sala; minime manovre di contenimento; corretto posizionamento della cuffia). Un altra difficoltà deriva dalla scelta degli intervalli di riferimento di BP, differenti a seconda dello strumento e, di fatto, non ancora standardizzati in maniera definitiva. Secondo le linee guida seguite dalla nefrologia (IRIS) si afferma che un gatto risulta: normoteso se la BP minore di 150mmHg; al limite dell’ipertensione tra 150 -159 mmHg; iperteso160-179 mmHg; gravemente iperteso 180mmHg.

    La terapia dell’ipertensione ha come obbiettivo il ridurre il rischio di TOD che, secondo le linee guida IRIS, può manifestarsi con valori al di uguali o maggiori di 160mmHg. Ogni qual volta si rileva una BP sopra la norma bisognerebbe innanzitutto indagare per malattie sottostanti che possono creare questa condizione e intervenire su di esse. Il farmaco di scelta specifico per la gestione dell’ipertensione è l’amlopidina, un potente vasodilatatore arterioso che determina una riduzione della SVR e della BP con effetti collaterali minimi; è stato inoltre visto che può diminuire la proteinuria in soggetti con insufficienza renale cronica. Esistono anche altri farmaci che indirettamente possono agire sull’ipertensione quali gli ACE inibitori e i beta bloccanti, ma sembrano essere meno efficaci dell’amlopidina e avere maggior variabilità di risposta in base al paziente. La dose di amlopidina è 0,625mg/gatto ogni 24 ore che può esser portata a 1,25mg/gatto in soggetti con BP oltre 200mmHg, monitorando le variazioni di pressione nelle prime 24-72h. In soggetti che non evidenziano TOD, si dovrebbe rivalutare la terapia ogni 7-10 giorni anche in base ai segni clinici: se la risposta risulta inadeguata, si può associare altri farmaci. L’obbiettivo della terapia è quello di riportare nel minor tempo possibile (1-2 settimane) la pressione sistemica al di sotto di 160mmHg e mantenerla tale motivo per cui il paziente andrebbe monitorato ogni 3 mesi circa, finché non si stabilizza.

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  • Ecografia del Torace

    Ecografia del Torace

    La diagnostica per immagini in medicina d’urgenza, ha tradizionalmente un ruolo marginale perché oltre alla radiologia convenzionale, non esistono altri strumenti utilizzabili che non comportino ulteriori stress al paziente o che siano causa di perdite di tempo. In realtà l’ecografia in urgenza è una metodica di imaging di notevole ausilio nell’estensione dell’esame obiettivo. É una tecnica di facile esecuzione, che non prevede radiazioni ionizzanti e quindi eseguibile in qualsiasi luogo si trovi il paziente.

    La filosofia del protocollo è valutare il paziente critico nella sua interezza con un approccio multidisciplinare non solo durante l’urgenza ma anche in terapia intensiva. Generalmente per l’esecuzione della metodica è preferibile che il paziente sia in decubito sternale. Anche il decubito laterale permette una corretta valutazione ma presenta l’inconveniente di dover ruotare il paziente sull’altro decubito per poter completare l’esame.

    La corretta valutazione delle vie aeree superiori rappresenta un aspetto molto importante della gestione del paziente critico che si presenta in pronto soccorso con dispnea inspiratoria e/o espiratoria. Le patologie che più comuni possono essere identificate tramite l’ecografia in emergenza sono la paralisi laringea, il collasso tracheale, traumi o neoformazioni che posso dislocare le vie respiratorie. Per quanto riguarda la laringe, in condizioni di normalità, il movimento delle cartilagini aritenoidee è simmetrico e sincrono con gli atti respiratori. La paralisi laringea si evidenzia ecograficamente con l’assenza del movimento delle cartilagini o di un emilato (in caso sia una paralisi parziale) o di entrami i lati (in caso sia completa). Non appena è terminato lo studio della laringe si passa alla trachea, continuando la scansione trasversale fino all’entrata in torace. L’organo viene visualizzato solo nella sua metà ventrale, poiché l’aria non permettendo la propagazione degli ultrasuoni, impedisce la visualizzazione degli anelli dorsali. L’ecografia della trachea in urgenza trova indicazione nella valutazione primaria dei pazienti in situazioni critiche o in condizioni di emergenza , oltre alla visualizzazione di rotture tracheali, di ematomi o neoformazioni che possono dislocarla lateralmente e della tracheomalacia. L’ultima applicazione dell’ecografia alle vie aeree superiori in situazioni di urgenza riguarda la conferma della corretta intubazione tracheale. L’esofago infatti decorre normalmente in posizione paramediana sinistra con tipico aspetto a bersaglio privo di lume proprio. Quando viene intubato erroneamente, vengono visualizzate due aree simili, ossia la trachea sulla sinistra e l’esofago intubato sulla destra.

    Lo studio ecografico del torace può essere effettuato con una sonda microconvex a frequenza variabile 5-8 MHz, ma la sonda lineare ad alta frequenza (7,5 -12 MHz) è sicuramente la scelta migliore. Si scansiona completamente tutto l’emitorace in modo da non escludere nessun campo polmonare dall’indagine diagnostica ed avere una localizzazione precisa di eventuali lesioni riscontrate. La sonda viene posta perpendicolare al piano sagittale mediano, in longitudinale con il marker rivolto verso la testa del paziente. Le patologie toraciche in emergenza/urgenza diagnosticabili ecograficamente sono: pneumotorace, versamento pleurico, sindrome alveolo interstiziale, consolidamenti polmonari e le ernie diaframmatiche. Il pneumotorace viene sospettato ecograficamente quando lo sliding sign è assente e la linea pleurica iperecogena appare fissa, immobile, in funzione della presenza di aria nello spazio pleurico. Il pneumotorace è confermato se si evidenzia il lung point, ossia il punto di contatto del polmone sano a parete, producendo un aspetto caratteristico della linea pleurica, per metà fissa e per metà con il normale sliding sign. La ricerca del lung point è fondamentale per avere la certezza diagnostica, poiché in medicina umana il suo riscontro presenta la stessa sensibilità e specificità della TC, gold standard nella diagnosi di pneumotorace. Il versamento pleurico viene diagnosticato quando all’interno dello spazio pleurico è visualizzata un’area anecogena che risulterà più o meno estesa a seconda della gravità. La sindrome alveolo interstiziale (SAI) si ha quando sono presenti molte linee B, ossia si verifica in tutte quelle patologie in cui la riduzione dell’areazione polmonare per espansione interstiziale è provocata dalla presenza di quantità maggiori di liquido nei setti interlobari. Nell’edema polmonare si verifica una fusione di numerose linee B, creando il caratteristico aspetto di white lung, mentre in corso di contusioni polmonari, nelle malattie interstiziali diffuse, nei processi fibrotici e nelle fasi conclamate dell’ARDS, le linee B hanno un aspetto focalizzato nell’area interessata dalla patologia. I consolidamenti polmonari possono mostrarsi con diversi gradi di estensione e sono visualizzati come aree subpleuriche polmonari non areate, in cui lo sliding sign può essere assente. Possono essere espressione di gravi contusioni polmonari, tumori polmonari e infarti polmonari. Le ernie diaframmatiche sono generalmente facili da diagnosticare quando in sede toracica si evidenzieranno porzioni epatiche, spleniche, gastriche o anse intestinali.

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  • I versamenti cavitari

    Con il termine di “versamento cavitario” si intende un’anomala raccolta di liquidi in una cavità corporea. Nel cane e nel gatto le sedi più comuni di versamento sono rappresentate dalle cavità pleurica, peritoneale e pericardica. Le cavità normalmente contengono piccole quantità di liquido, in misura variabile a seconda della taglia dell’animale e comunque nell’ordine di pochi millilitri. Questo fluido ha la funzione di lubrificare la cavità, permettendo così i movimenti degli organi contenuti, evitando che si creino attriti tra i visceri stessi o tra i visceri e la parete della cavità, e ha funzione di nutrimento nei confronti delle cellule degli strati superficiali della parete cavitaria. Il meccanismo di formazione del liquido è basato sulla filtrazione di una parte del sangue (plasma) attraverso le pareti dei capillari che si trovano strettamente a contatto con la cavità.

    La filtrazione avviene grazie al mantenimento di un equilibrio tra due forze pressorie:

    • la pressione idrostatica (PI) interna al vaso che viene mantenuta dal liquido presente in esso. Si tratta della forza che tende a far fuoriuscire il fluido.
    • la pressione oncotica (PO) che è esercitata da macromolecole presenti nel plasma (proteine di diverso peso molecolare). Questa forza pressoria tende a richiamare il fluido.

    In condizioni normali queste due forze si oppongono tra di loro e permettono la formazione di soli pochi millilitri di liquido, mentre se una delle due è alterata si crea uno squilibrio che porterà alla formazione di un versamento cavitario. Più di rado, è possibile che si formino anche per rottura di organi interni (vescica, cistifellea, vasi, ecc.).

    Classificazione:

    La classificazione dei versamenti prevede la suddivisione in tre categorie principali:

    • Trasudato: liquido quasi del tutto acellulare, contenente sali ed elettroliti, povero di proteine e dal peso specifico basso. Esso si forma nel momento in cui la pressione oncotica si riduce e di conseguenza diminuisce la capacità dei capillari di trattenere liquido al loro interno, mentre non viene alterata la permeabilità della parete dei vasi.
    • Trasudato modificato: liquido contente più cellule e proteine rispetto al precedente e con un peso specifico maggiore. Esso si forma quando la pressione idrostatica aumenta, perciò sangue e/o linfa non vengono drenati provocando così la fuoriuscita di liquido.
    • Essudato: liquido ad alta concentrazione proteica, contenente cellule in quantità variabile ed alto peso specifico.

    Esso si forma a causa di una lesione diretta sul vaso o per azione di sostanze che vengono liberate quando vi è un processo infiammatorio in atto. In ogni caso il meccanismo che porta alla fuoriuscita di fluido è un’alterazione della permeabilità del vaso.

    i versamenti cavitari

    Drenaggio:

    Drenare un versamento significa aspirarlo dalla cavità nella quale si è formato. Questa procedura, effettuata dal medico veterinario, ha sempre una duplice funzione: terapeutica e diagnostica. Fisiologicamente, infatti, qualunque sia la cavità in questione non dovrebbero essere presenti più di alcuni millilitri. L’animale può, pertanto, manifestare sintomi variabili, da un lieve disagio fino ad una situazione che richiede un intervento d’urgenza. In seguito il liquido verrà analizzato, dando così importanti informazioni per giungere a una diagnosi circa la patologia che affligge il nostro amico a quattro zampe. Per il drenaggio è sempre meglio utilizzare aghi di piccole dimensioni (ad esempio aghi butterfly) per evitare di ledere organi circostanti e per evitare piccole emorragie. Inoltre il prelievo ecoguidato è sempre preferibile a quello “alla cieca”.

    versamenti cavitari

    Analisi del versamento:

    L’analisi del versamento prevede una serie di passaggi che forniscono informazioni importanti sulla natura del liquido raccolto:

    • valutazione macroscopica del campione: volume, colore, trasparenza/torbidità, viscosità e odore
    • valutazione microscopica delle cellule in esso presenti e del loro conteggio
    • misurazione delle proteine e del peso specifico
    • eventuali analisi biochimiche

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  • Ictus Nel Cane e Nel Gatto

    Ictus Nel Cane e Nel Gatto

    L’ictus, l’ischemia e le emorragie cerebrali nel cane e nel gatto sono eventi più rari rispetto a quanto si registra nell’uomo.

    Gli infarti cerebrali sono noti anche come “Ictus” o Accidenti Cerebro Vascolari (CVA), e vengono divisi in forme ischemiche ed emorragiche.

    L’ischemia cerebrale è provocata dalla riduzione del flusso sanguigno in un’area cerebrale a causa della presenza di un trombo o di un embolo, mentre le emorragie cerebrali sono causate dalla rottura di un vaso nel parenchima cerebrale o nello spazio subaracnoideo.

    Le forme ischemiche rappresentano circa il 70% degli infarti cerebrali riscontrati nel cane; per questo quando più generalmente si parla di infarti cerebrali si fa riferimento alle forme ischemiche.

    L’attacco ischemico transitorio, spesso indicato come mini-ictus o TIA, acronimo dei termini inglesi Transient Ischemic Attack, è un deficit neurologico provocato da una riduzione transitoria dell’afflusso di sangue al cervello. Un attacco ischemico transitorio ha molto in comune con l’ictus cerebrale di tipo ischemico, con la differenza sostanziale che i danni neurologici causati dal TIA sono transitori e reversibili e non permanenti come nel caso dell’ictus.

    Le sindromi neurologiche di origine vascolare sono caratterizzate dall’insorgenza improvvisa di sintomi cerebrali per lo più non convulsivi e non progressivi oltre le prime 24-48 ore.

    La sintomatologia tende quindi a non progredire con il passare del tempo, anzi, i sintomi tendono a regredire spontaneamente, con un grado di miglioramento che dipende però dalla localizzazione e dall’estensione della lesione. Tutte le aree encefaliche possono essere coinvolte, pertanto la sintomatologia varia, per tipologia e gravità, a seconda dell’area interessata. Qualora vengano interessati gli emisferi cerebrali i sintomi più comuni sono andatura compulsiva, tendenza a camminare in circolo e deficit propriocettivi, quando viene interessato il tronco encefalico, soprattutto in cani di grossa taglia, si possono osservare alterazioni dello stato mentale, sindromi vestibolari centrali, deficit monolaterali dei nervi cranici e deficit propriocettivi, mentre quando, soprattutto nei cani di piccola taglia, viene colpito il cervelletto, si possono osservare deficit dell’equilibrio, alterazioni alla reazione di minaccia, incapacità a mantenere la stazione, opistotono, nistagmo e strabismo ventrolaterale.

    Le cause di accidenti cerebro vascolari riportate più frequentemente in medicina veterinaria sono l’iperadrenocorticismo, le malattie renali croniche, l’ipotiroidismo, l’ipertensione, le cardiomiopatie, la migrazione di emboli settici, parassitari o, più raramente, neoplastici; ciò nonostante, nella metà circa dei casi non è possibile identificare una causa dimostrabile.

    La visita neurologica consente di localizzare la lesione e stilare una lista di possibili diagnosi differenziali.

    cane-ischemia

    Gli esami del sangue possono evidenziare problemi metabolici sottostanti ed indirizzare il trattamento medico, ma la diagnosi viene confermata solo attraverso l’esame cranico di risonanza magnetica (RMI) o di tomografia computerizzata (TC). Quest’ultima, sebbene rappresenti l’esame d’elezione per la diagnosi di emorragia cerebrale, è invece spesso normale nelle fasi acute degli infarti ischemici. La Risonanza Magnetica rimane quindi la metodica più utile nella diagnosi degli ictus.

    Attualmente non esiste un trattamento specifico per le forme infartuali. Il trattamento in Medicina Veterinaria è quindi per lo più di supporto ed è volto a mantenere lo stato di idratazione, l’ossigenazione e la pressione sistemica del paziente. A seconda dell’area cerebrale colpita può essere necessario monitorare e svuotare la vescica, prevenire le ulcere da decubito in pazienti non deambulanti, evitare la polmonite ab-ingestis ed evitare stati di malnutrizione offrendo un’alimentazione con sondino gastrico in pazienti con difficoltà a deglutire.

    Nei soggetti in cui sussista una causa predisponente all’infarto è necessario iniziare una terapia appropriata, ogni qual volta possibile. Tutti i pazienti con infarto cerebrale dovrebbero quindi intraprendere un percorso diagnostico per la valutazione delle malattie concomitanti o predisponenti attraverso misurazioni seriali della pressione ematica, emocromo, profilo biochimico completo ed analisi delle urine, test per malattie endocrine quali l’iperadrenocorticismo o l’ipotiroidismo, radiografie toraciche ed ecografia addominale e cardiaca.

    In pazienti con malattie predisponenti la possibilità di recidiva è piuttosto elevata e la prognosi riservata.

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  • L’importanza del gioco per il cane

    Il gioco è una sequenza di azioni eseguite in maniera teatrale e senza uno scopo preciso se non quello di divertirsi. Durante la sessione di gioco il cane può mettere in atto diversi comportamenti come la lotta, la fuga, la caccia ecc. Le caratteristiche che contraddistinguono il gioco sono l’assenza di regole fisse ( o quasi), la sua imprevedibilità , la possibilità di cambiar ruolo durante la sessione , l’apprendimento e il divertimento.

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    Perché il cane possa dedicarsi al gioco i suoi bisogni primari devono essere soddisfatti.

    Oltre ad essere un mezzo attraverso il quale divertirsi il gioco ha una forte valenza sociale. Infatti durante le sessioni il cane può imparare ad utilizzare diverse intelligenze, come quella olfattiva e quella visiva, e imparare a riconoscere le intelligenze e le predisposizioni altrui, può allenare la propria capacità di movimento, può apprendere gli autocontrolli e sviluppare le capacità comunicative intra ed inter-specifiche.

    Oltre ad essere un importante strumento di apprendimento , il gioco è utilissimo per la costruzione delle relazioni del sistema famiglia, per accrescere la complicità e la collaborazione con il partner umano.

    Per queste sue caratteristiche il gioco è fondamentale per lo sviluppo cognitivo del cucciolo.

    Altro aspetto importante è che attraverso il gioco si riesce ad intuire quali siano le predisposizione del cane, le sue preferenze, la sua indole , le sue conoscenze, la sua capacità di gestione delle emozioni e le caratteristiche della relazione proprietario-cane.

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    Esistono diverse tipologie di gioco:

    – Gioco individuale: si svolge con oggetti o senza. Di solito si tratta di giochi di predazione rivolti ad un oggetto oppure di corse, salti, giochi con l’acqua ecc.

    – Gioco sociale: si svolge con o senza oggetti. In questo sottogruppo distinguiamo la lotta, la competizione( ad esempio il tira e molla), la predazione a turno e i giochi di collaborazione ( il riporto, la ricerca olfattiva ecc.).

    – I giochi cognitivi: utili per allenare la memoria e l’elasticità mentale ( ad esempio il problem solving).

    cane_treccia

    Quindi in che modo dovremmo giocare con il nostro cane?

    Per giocare con il cane nella maniera corretta l’ideale è spaziare tra le diverse tipologie di gioco e non utilizzare sempre la stessa, verificare sempre la sua disponibilità al gioco e valutare in maniera adeguata il contesto ( ad esempio non giocare al riporto o a rincorrersi in casa o sotto il sole estivo ) . In questo modo il nostro cane apprenderà e si divertirà sfruttando al massimo le capacità cognitive e sensoriali che ha a disposizione.

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  • La Sindrome Brachicefalica nel Cane

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    La sindrome brachicefalica nel cane, meglio nota come sindrome respiratoria ostruttiva del cane brachicefalo (BAOS) è una condizione respiratoria risultato di un serie di modificazioni anatomiche craniche e non solo che si presenta in alcune razze.
    Le razze coinvolte si possono raggruppare in tre grandi morfotipi:
    Piccoli brachicefali: per esempio il Carlino
    Medi brachicefali: per esempio il Bulldog Francese
    Grandi brachicefali: per esempio il Bulldog Inglese
    La scelta di collocare le varie razze canine brachicefale in questi gruppi dipende dal fatto che ognuna di esse presenta differenti caratteristiche anatomiche, e di conseguenza anche differenti problematiche respiratorie.
    Le problematiche respiratorie sono invece il risultato dell’attrito che l’aria incontra sulle anomale strutture delle prime vie respiratorie.
    Secondo alcune leggi della fisica ricordiamo che minime variazioni del diametro di un condotto (quello respiratorio per esempio), portano ad aumenti marcatissimi delle resistenze.

    Ciò che accomuna i brachicefali è lo scarso sviluppo dello splancnocranio, ovvero della parte di cranio che comprende il comparto facciale. Si nota appunto che questi soggetti presentano un muso “schiacciato”.
    Lo scarso sviluppo però interessa solo la parte ossea, mentre i tessuti molli si sviluppano normalmente. Quindi ne risulta un alterato rapporto tra tessuti duri (iposviluppati) e tessuti molli che crescono normalmente ma che su supporti ossei di scarsa superficie diventano esuberanti.

    Le alterazioni anatomiche che osserviamo in questi soggetti possono essere precoci o tardive.
    Le alterazioni precoci sono quelle che si osservano già in età giovanile, mentre quelle tardive sono quelle che compaiono solo a sviluppo morfologico completo.

    Vediamo nel dettaglio quali sono le strutture respiratorie interessate da questi processi di anomalo sviluppo.

    La sindrome brachicefalica nel cane

    Narici: nella maggior parte delle razze brachicefale si ha una marcata lassità del legamento nasale laterale. Questa lassità non permette di mantenere tesa lateralmente la plica alare e di conseguenza non permette di tenere dilatato l’adito delle narici. Questa alterazione viene definita Stenosi delle narici. Spesso si assiste ad una vera e propria chiusura dell’adito delle narici.
    Durante la fase inspiratoria si ha un restringimento più marcato rispetto alla fase espiratoria a causa del maggior flusso d’aria in ingresso.
    All’interno delle narici troviamo un’altra struttura che concorre a creare ostruzione al passaggio dell’aria: i turbinati. Le modificazioni anatomiche hanno spinto caudalmente queste strutture che spesso si ritrovano nel rinofaringe, e tendono ad avere lesioni da contatto a causa del poco spazio in cui sono costretti.

    La sindrome brachicefalica nel cane.jpg1

    Faringe: è la seconda regione anatomica in cui si riscontra la presenza di ostruzione a causa dell’anomalo sviluppo, soprattutto nella regione pterigopalatina.
    Questa regione presenta una scarsa impalcatura ossea, per cui i tessuti molli sono decisamente più dislocabili. Per questo sono molto più soggetti a traumatismi a causa del continuo attrito causato dal flusso aereo verso la laringe.
    In quest’area le strutture che consideriamo importanti per la stadiazione della BAOS sono la porzione libera del palato molle e la plica faringea.

    Laringe: può subentrare un problema ostruttivo nel momento in cui la pressione negativa inspiratoria, a causa delle resistenze presenti, aumenta.
    Questo fenomeno può portare all’eversione di due strutture poste ai lati della laringe che prendono il nome di sacculi. La loro eversione determina invasione dello spazio laringeo creando ulteriore ostruzione.
    Inoltre il continuo sforzo inspiratorio provoca uno spostamento dinamico delle cartilagini laringee medialmente (effetto Venturi) con conseguente collasso laringeo.
    Trachea: la trachea può essere interessata da ipoplasia. In questo caso si ha uno scarso sviluppo degli anelli tracheali e normale sviluppo della mucosa tracheale che risulta essere esuberante e di conseguenza determina un ulteriore aumento delle resistenze.

    A cura della dott.ssa Katiuscia Camboni

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  • L’aumento della fame nel gatto

    La polifagia è definita come l’ingestione di una quantità sproporzionata di cibo che può essere accompagnata da un aumento del peso corporeo o da perdita di peso.

    Le cause alla base del problema possono essere fisiologiche o patologiche.
    Tra le cause fisiologiche ritroviamo l’esercizio fisico intenso, la gravidanza, la lattazione e le basse temperature ambientali. In questa caso l’anamnesi potrebbe essere sufficiente per emettere una diagnosi e riadattare le quantità di cibo giornaliero ai reali fabbisogni dell’animale. A volte anche l’assunzione di alimenti di scarsa qualità potrebbe portare a polifagia
    In caso di cause patologiche la polifagia può essere accompagnata da aumento  o da calo del peso corporeo.

    Solitamente le cause di polifagia che portano ad aumento del peso sono dovute ad un eccesso alimentare o all’uso di cibi troppo appetibili. Talvolta per problemi comportamentali e per noia i gatti sono portati a consumare eccessive quantità di cibo in mancanza di un arricchimento ambientale idoneo.
    Sono possibili anche forme di polifagia iatrogena dovuta all’assunzione di alcuni farmaci come gli anticonvulsivanti, i corticosteroidi e i progestinici.

    Tra le patologie che possono portare a polifagia con aumento del peso ci sono diverse endocrinopatie quali il diabete mellito e l’ipertiroidismo, malattie legate al malassorbimento dei cibi (malattie gastroenteriche e parassitarie) o malattie neoplastiche.
    Per indirizzarsi nella diagnosi l’anamnesi è in ogni caso di fondamentale importanza per capire se la razione che viene somministrata è adeguata ai fabbisogni dell’animale in quella fase della vita ricordandosi sempre che alcuni cambiamenti possono richiedere degli adattamenti delle quantità o qualità del cibo.
    Successivamente se dall’anamnesi si sospetta una patologia sottostante si dovranno eseguire emocromo, profilo biochimico con misurazione della glicemia, profilo tiroideo ed esame delle urine e delle feci.
    Il riscontro di iperglicemia può essere suggestivo di diabete mellito soprattutto se confermato da una concomitante glicosuria. Se c’è il dubbio che il gatto possa essere stressato dal prelievo e dalle necessarie manipolazioni si può effettuare anche la misurazione delle fruttosamine sieriche che rappresentano la “media” della glicemia nei giorni precedenti e non sono quindi influenzate dal prelievo. Ovviamente in caso di conferma di diabete dovrà essere istituita un’idonea terapia alimentare e se è il caso iniziare una terapia a base di insulina.

    Per la diagnosi di ipertiroidismo si dovranno rilevare elevati livelli di T4-fT4 associati ai sintomi clinici caratteristici (polifagia, poliuria e polidipsia, vomito e diarrea, soffio cardiaco) ed eventuali reperti di laboratorio compatibili con questa patologia. Anche nel caso dell’ipertiroidismo ci saranno diverse terapie specifiche per diminuire il livello di ormoni tiroidei circolanti (terapia chirurgica, farmacologica o alimentare).

    La patologie parassitarie rilevabili attraverso l’esame delle feci dovranno essere trattate con gli appositi prodotti svermanti.
    Nel caso in cui dagli esami effettuati non dovessero emergere anomalie indicative delle patologie sopra elencate saranno necessari ulteriori accertamenti per indagare l’apparato gastroenterico. Si potranno effettuare radiografie ed ecografia dell’addome ed esami sierologici specifici mirati a evidenziare il malassorbimento.
    Per la diagnosi di patologie neoplastiche, soprattutto se in fase precoce, potrebbero essere necessarie indagini più approfondite come la TAC.

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  • Axolotl: un anfibio particolare

    Axolotl: un anfibio particolare

    L’Axolotl (nome scientifico Ambystoma mexicanum) è un anfibio molto particolare. Può essere detenuto nell’acquario di casa con documentazione specifica (CITES appendice II, reg. UE 338/1997, allegato B). E’ una salamandra originaria del Messico (lago di Xochimilco). Ormai in cattività si trova facilmente, invece in natura risulta quasi estinto.

    La sua principale peculiarità è la neotenia, ossia la possibilità di diventare adulto senza trasformarsi in animale terrestre, cioè quasi mai da girino si trasforma in salamandra. La metamorfosi si verifica solamente in condizioni di stress ambientale (poco ossigeno, scarsità di acqua, sovraffollamento). L’axolotl, infatti, può trascorrere la sua intera vita come animale esclusivamente acquatico respirando sott’acqua con branchie molto sviluppate.

    Un’altra caratteristica interessantissima è la capacità di rigenerazione di parti del corpo. Se danneggiato, infatti, è in grado di rigenerare senza cicatrici gli arti ed alcuni organi. Le sue cellule sono molto simili a quelle staminali adulte dei mammiferi.

    L’Axolotl può raggiungere la lunghezza di circa 30 cm e vivere fino a 20 anni. E’ un animale più crepuscolare e notturno. La sua testa è grande e gli occhi sono privi di palpebre. La coda è lunga ed appiattita lateralmente e funge da organo propulsore per il nuoto. Gli arti sono sottosviluppati e possiedono dita lunghe e sottili. Gli axolotl sono in grado di respirare sott’acqua grazie alle branchie, ma possiedono anche i polmoni per cui riescono a respirare anche l’ossigeno atmosferico, ingoiando aria dalla superficie esterna.

    Normalmente il colore della pelle è marmorizzato marrone o grigio scuro (marrone/grigio con macchioline dorate), di tonalità più chiara sul ventre, ma esistono quattro diverse pigmentazioni:

    • Leucistico (rosa pallido con occhi neri);

    • Albino (dorato o rosato con occhi rossi);

    • Assantico (grigio con occhi neri);

    • Melanoide (completamente nero).

    Oltre a queste varianti c’è un’ampia diversità anche nella grandezza, nella frequenza e nell’intensità delle macchioline dorate.

    Immagine correlata

    Per la detenzione è necessario disporre di un acquario grande (per una coppia almeno 80x40x40 cm) con fondale a granulometria fine (sabbia o ghiaietto), fornito di nascondigli (legni, rocce e grotte) e robuste piante acquatiche. E’ importante fornire una buona qualità ed ossigenazione dell’acqua, il pH e la temperatura corrette. L’acquario, infine, dovrebbe rimanere illuminato per circa 10-12 ore al giorno.

    Per quanto riguarda la dieta gli axolotl si nutrono di larve, pesciolini, piccoli crostacei, molluschi, lombrichi ed insetti. In cattività possono essere alimentati con mangimi in pellet e prede vive.

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