L’altro giorno, a Milano, ho avuto un tuffo al cuore. All’Arco della Pace, su un palo della luce, c’era questo annuncio: «Persa Mila, cucciola incrocio di segugio, zona Paolo Sarpi. Non rincorretela, è molto spaventata. Chiamate 335…». E nella foto lei, bellissima e color cioccolato. Mila. Milo.
Avete mai perso di vista il vostro cane, il vostro gatto? È un’angoscia che non si augura a nessuno. Il web ribolle di storie consolanti di animali che tornano a casa anche dopo vent’anni; la tv e il cinema, da Lassie a In fuga a quattro zampe, ne han fatto un filone lucroso. Il più commovente, per me ragazzina, fu un film dell’87, Quattro cuccioli da salvare, con il meticcio Benji ormai anzianotto che si perde nei boschi dopo un incidente in barca, e salva quattro cuccioli di puma (peraltro il primo Benji, del 1974, fu preso da un rifugio, ed è stato calcolato che nel tempo oltre un milione di cani sono stati adottati dai rifugi grazie a lui). Una storia edificante, dove la presenza umana è minima: solo brevissimi scorci del «padrone», più anziano di lui, che si dispera guaendo quasi come il cane.
E però, a parte pochi casi, si parla sempre dei ricongiungimenti, mai dello strazio, umano e animale, della perdita. E poiché tutti vogliamo il lieto fine, non si parla del dopo. Non si dice che a T2, il gatto della Florida scappato dopo l’uragano del 2004 e riportato a casa giorni fa, dopo 14 anni, hanno fatto l’eutanasia, perché paralizzato e sofferente. Certo, col suo umano sono riusciti a dirsi addio, e almeno a fine vita T2 ha incontrato una famiglia che si è preoccupata di verificare se avesse un microchip. Ma è la disperazione.
Quella di un amico che anni fa, avendo perso con la moglie uno dei cani spesso malridotti che lei raccoglieva per strada, passò le ore, i giorni, a girare in motorino per i vicoli di Napoli, credendo di riconoscere quel cane in ogni randagio cui vagamente somigliava. Come succede con i figli, quando li perdi di vista o si allontanano – in spiaggia, per strada o al supermercato. Scorgi un bambino, stessi capelli, stessa altezza, dici: «È lui». Gli corri dietro piena di speranza, di certezza, solo che non lo è. Ricordo quant’ero spaventata, l’anno scorso al mare, che Milo, in un momento di mia distrazione, potesse scappare. Perché i figli vorresti legarteli al collo, come Candy, l’orfanella del cartone che in una delle prime scene lega le ochette alla madre, affinché non si perdano. Penso a Pietro, la baby-cornacchia caduta dal nido che avevo accudito per tre giorni prima che arrivasse Milo. Fui io, credendo di far bene, a separarlo per sempre dai suoi genitori. Loro, invece, per cercarlo, erano scesi addirittura per le scale dell’edificio di centro città in cui abito. Lo strazio, il coraggio, di una madre o un padre che perdono un figlio è lo stesso qualunque sia la specie.
Anche un cane, come un bimbo, può essere rapito. Ci sono tanti orchi, specie oggi che di bimbi non se ne fanno più. Ma altrettanti ci sono per gli animali. Che non possono, a differenza dei bambini, se non microchippati o senza medaglietta, dire il proprio nome. «Abito lì. La mia mamma si chiama così». Investiti da una macchina, punti da una siringa infetta, avvelenati da bocconi killer o da una pianta velenosa che per la fame hanno mangiato.
D’altronde, ai figli non pelosi il microchip non si può mettere, e non ce lo diciamo ma forse l’abbiamo pensato. Come in quell’episodio di Black Mirror, dove una madre, traumatizzata dopo aver perso di vista la figlioletta al parco giochi, le fa installare nel cervello un chip per rintracciarla ovunque. E però le analogie sono profonde, e anche per ritrovare un animale le prime ore sono fondamentali. Passate quelle, dicono gli esperti, le probabilità scendono al 55%. C’è anche, come per i bambini americani, il Pet Amber Alert, o Pet Alert. Un team di specialisti che realizza e appende poster dedicati, scatena i social media, chiama tutti i rifugi, veterinari e residenti della zona. Alcuni lo fanno anche gratis; uno, lostmydoggie.com, pare abbia ritrovato, dal 2009, 75mila cani. È il conforto delle statistiche, le stesse che forze dell’ordine e servizi sociali corrono a snocciolarti quando perdi un figlio. Solo che un cane, un gatto, come un figlio, non sono statistiche.
«Non rincorrete Mila, è molto spaventata», avvertono i suoi umani nell’annuncio. Tutto può spaventarli: un botto, i fuochi d’artificio. Una mia amica di città, quando esce col cane, non usa il guinzaglio, certa che con lei vigilissima non gli accadrà nulla. Ma è un attimo, bisogna avere mille occhi. E dopo tante ore, un animale che si è perso è così stressato che se rincorso, anche dal proprio umano, spesso scappa.
Mentre scrivo, spero tanto che Mila abbia già ritrovato i propri umani. Spero che tutti i cani, i gatti e altri animali che si sono persi trovino presto la strada di casa, o almeno un po’ d’amore.
29 marzo 2018 (modifica il 29 marzo 2018 | 18:52)
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