Danilo Mainardi, famoso etologo scomparso l’8 marzo all’età di 83 anni, nella sua lunga carriera ha ottenuto stima e riconoscimenti non solo dai colleghi ma anche e soprattutto dal grande pubblico che ha potuto apprezzare la sua grande competenza ma anche la sua passione e l’amore per gli animali. LEGGI | FOTO | VIDEO
In occasione del lancio della collana “I grandi libri di Danilo Mainardi” in edicola ogni lunedì dal 6 marzo con Oggi e Corriere della Sera, Mainardi aveva rilasciato al giornalista Livio Colombo un’interessante intervista dedicata al mondo degli animali in generale e più nello specifico sul migliore amico dell’uomo, il cane. I SUOI LIBRI IN EDICOLA CON OGGI
Ecco dunque un piccolo ma significativo tributo ad un autorevole studioso di grande umanità:
Professor Mainardi, che rapporto ha avuto con i suoi cani? Si è più spesso sentito un padrone obbedito o un padrone frustrato?
«Con tutti i cani della mia vita sono stato un padrone felice».
È vero che i cani imparano a distinguere le parole che diciamo e non solo l’intonazione del comando?
«I cani, tutti, derivano dal lupo, animale intelligente e sociale che vive in muta e che per coordinarsi con i compagni deve percepire e riconoscere i segnali. Con l’addomesticamento del lupo, il cane è penetrato nella famiglia umana, la sua nuova muta, e dunque impararne i segnali è fondamentale. È dimostrato che i cani arrivano a conoscere qualche centinaio di parole, associando significati ai suoni come fanno i bambini. Hanno una memoria formidabile e si può creare fra cane e padrone un vocabolario privato, fatto di parole vere ma anche inventate. Un lessico famigliare. E non è solo un fatto di quantità di parole apprese ma anche di efficienza della comunicazioone. Nei cani da lavoro, come ad esempio un cane da pastore bastano poche parole (6, per la precisione) per fargli compiere correttamente il suo lavoro».
E come fanno a cogliere addirittura le nostre espressioni?
«Al di là delle parole, sono abilissimi a cogliere segnali minimi come l’espressione del volto, lo sguardo, un battito delle ciglia, il roteare degli occhi, la contraccezione dei muscoli, la mimica. Una speciale, raffinatissima attitudine che li porta a concentrare la loro attenzione sul nostro volto e il nostro corpo e che si è evoluta proprio in funzione della nuova socialità che ci coinvolge. Per questo ci guardano spessissimo in faccia e ci capiscono. C’è chi sostiene che guardandoci in faccia, imitino pure qualche nostra espressione e forse dunque anche il sorriso».
Lei quali segnali dei suoi cani ha imparato a interpretare?
«Il sorriso. La scienza è un po’ incerta sul riconoscere il sorriso dei cani e tende comunque ad includerlo fra i segnali di sottomissione. Io non credo sia così e penso piuttosto sia un riso genuino, espressione facciale di emozione gioiosa. La pelle del muso si raggrinza, si formano pieghe tra occhi e bocca, c’è uno speciale brillìo degli occhi, uno scuotere la testa e un alzare le zampe come in una marcia da fermo. Guarda dritto in faccia il suo padrone e può pure scappargli un piccolo “starnuto”».
C’è una sapienza/intelligenza dell’individuo o della specie? Insomma, tutti i border collie sono più intelligenti dei levrieri?
«Ho sempre un po’ diffidato delle classifiche e della comparazione di intelligenza fra razze canine. Credo fermamente invece al grande potenziale di ogni singolo individuo se ben aòòevato, educato e amato».
Cosa si può sviluppare in più, in termini di socialità e di rapporti psicologici, in una famiglia dove c’è un cane?
«Dove c’è un cane ben accolto e amato, si crea un benessere speciale, quello che scaturisce dall’occuparsi di un altro essere vivente, dal conoscere un’altra mente, diversa, ma altrettanto ricca di emozioni. È il benessere di andarsene fuori con lui a passeggiare, di contemplare nella quotidianità anche le esigenze del nostro compagno, di toccarlo e accarezzarlo. Insomma una sorta di pet therapy per tutta la famiglia».
È giusto regalarlo a un bambino?
«Sarebbe quasi doveroso per le esperienze uniche che regala crescere insieme. Educa al rispetto, alla condivisione, alla generosità. E il cane con cui si cresce da piccoli rimarrà per sempre nella memoria. Il cane ricambierà tutta la famiglia col suo grande ed esclusivo attaccamento affettivo. Konrad Lorenz diceva: “Non c’è fedeltà che non tradisca almeno una volta, tranne quella di un cane”».
È vero che cani e padroni si assomigliano talvolta anche fisicamente?
«In effetti non è solo un modo di dire. Sembra esserci un fondamento scientifico come indicano i risultati di un esperimento condotto al Dipartimento si sab Diego in California. La scelta del proprio cane pare dunque essere guidata anche da certi caratteri in cui il padrone si riflette. Alla base di questo sembra esserci il fatto che “la somiglianza genera simpatia”. Insomma più uno, uomo o cane che sia, ci somiglia, più tendiamo ad accettarlo, ad affezionarci e aver meno paura».
È vero che il cane ha più bisogno di compagnia che di spazio?
«Il cane ha bisogno di essere amato dal proprio padrone. Il che implica trovare lo spazio e il tempo per farlo vivere bene. Un cane che disponga anche solo di un terrazzo ma che esca regolarmente col suo padrone sta molto meglio di uno confinato in un grande giardino, ma ignorato dalla famiglia».
Nel libro lei dice che lasciava il suo Felice, un fox terrier, libero di azzuffarsi affinché imparasse a gestire i rapporti: sì, ma come spiegarlo ai proprietari di altri cani eventualmente aggrediti dal nostro?
«La mente canina è straordinaria. Occorre darle spazio fin da cuccioli, farla esercitare, consentendole di esprimersi. L’uso del guinzaglio è una buona occasione per far acquisire al nostro cane consapevolezza ed equilibrio nel rapporto coi conspecifici e con gli umani. È strumento utilissimo, ma che va “spiegato”: quando glielo si mette al collo deve far scattare una complicità fra padrone e cane, alla stregua di due amici che si prendono a braccetto. Poi appena possibile e consentito lo si libera perchè faccia la sua esperienza, si prenda le sue responsabilità. Il cane è animale socialissimo e a lasciarlo fare sa ben governare i rapporti tra conspecifici e più difficilmente si metterà nei guai. Il mio ultimo cane, Orso, un golden retriever, quando gli agganciavo il guinzaglio, si guardava attorno a cercare la causa di quella temporanea privazione di libertà. E se stavamo per incontrare uno di quei cani costretti sempre al guinzaglio e per questo, poveretti loro, stressati, Orso impettito al guinzaglio, nemmeno li guardava o al massimo emetteva un sommesso ringhio di ordinanza. E poco dopo lo liberavo».