Quasi trent’anni fa, Desmond Morris firmò a nome dell’umanità un contratto con gli animali. ” Purtroppo non è stato rispettato ” , ammette ora. Era il 1991 quando il rivoluzionario etologo inglese della Scimmia Nuda, che ancora oggi balla con Gabbani, scrisse Animal Contract – Noi e gli animali, come convivere (Mondadori): un decalogo di norme per preservare noi, gli esseri viventi tutti e l’ambiente che ci accoglie. Il problema, secondo il novantenne Morris, è che noi umani stiamo rompendo cinicamente questo patto. Non solo nei confronti degli animali selvatici, cui ora almeno offriamo un diorama decente negli zoo e non le brutali gabbie del passato, ma anche verso quelli domestici: “Dovremmo condividere il pianeta con le altre specie, invece vogliamo solo conquistarlo ” , dice Morris dal salotto della sua casa di Oxford, circondato da uno tsunami di libri e suoi dipinti. “L’Europa per esempio ha perso un sacco di animali, è completamente umanizzata. La natura non può essere solo un orto botanico o uno zoo. Il rischio è quello di diventare tutti innaturali. E dunque distruggere il nostro ambiente”.
Questa innaturalità, secondo Morris, si applica anche ai ” pets”, e cioè i cani, i gatti e tutti gli altri animali con i quali dividiamo la nostra casa. Il pericolo è la loro eccessiva antropomorfizzazione, la trasformazione a nostra immagine e somiglianza. Morris ne ha scritto più volte (celebri i suoi manuali Catwatching e Dogwatching), ma il fenomeno è antico. Del resto, Alessandro Magno nominò una città in onore del suo cane Peritas, la parola pet deriva dal gaelico scozzese e nel XVI secolo già significava “animale domestico preferito” e “bambino viziato”, mentre tre secoli fa il filosofo Jeremy Bentham cibava con i maccheroni del suo piatto il gatto che aveva chiamato “Reverendo dottor John Langborn”.
Desmond Morris, ma perché quest’umanizzazione degli animali domestici è innaturale?
“Perché in questo modo non riusciamo a comprendere loro e i loro veri bisogni e messaggi. È uno dei più grandi errori che possiamo fare. E anche noi viviamo in un ambiente innaturale”.
In che senso?
” Perché, come per i gatti, i cani e altri animali cacciatori che sono costretti a vivere in appartamenti, noi spesso siamo costretti a vivere in città. Ma non è il nostro ambiente naturale. Noi siamo una specie tribale, non a caso poi nei centri abitati abbiamo bisogno di formare piccole tribù, come quelle degli amici. È nella nostra natura”.
Insomma, noi e gli animali domestici siamo entrambi disadattati.
“Già. E a volte c’è di peggio. Una volta nel 1988 per un mio programma alla Bbc ho passato con la bocca una banana a un orso addomesticato. Forse la cosa più stupida della mia vita. Ma l’orso non mi ha aggredito, ha accettato il mio regalo. È stato comunque terribile, perché a quell’animale era stato fatto un danno atroce: fosse stato rimesso nel suo ambiente naturale, non avrebbe più saputo come comportarsi “.
E allora cosa fare? Dobbiamo rinunciare a cani, gatti e pesci in casa?
” Gli animali domestici sono uno dei pochi contatti veri con la natura che ci sono rimasti ed è anche per questo motivo che siamo attratti da loro. È una connessione vitale per noi. Noi umani siamo scimmie nude e quindi sentiamo questa necessità. Certo, i “pets” non sono la risposta giusta. Ma la risposta giusta non esiste più, considerato il nostro stile di vita e la natura che retrocede senza sosta. Dovremmo dunque imparare a comprendere loro e il loro mondo, per stare tutti meglio “.
Per esempio?
“Quando il gatto si strofina sulle nostre gambe è perché deposita una piccola secrezione per marcarci come oggetto familiare, non lo fa per puro affetto. Quando il cane cerca di saltare verso di noi, avvicinandosi alla bocca, lo fa perché in ambiente selvaggio i genitori gli passavano per bocca liquidi dallo stomaco e quindi si aspetta lo stesso da noi. Quando fissiamo con gli occhi questo tipo di animali, magari perché ci piacciono, loro la considerano una minaccia. Per questo a volte si dirigono verso chi non li apprezza”.
Konrad Lorenz ne “L’anello di Re Salomone” scriveva che “tutti gli animali domestici sono dei veri e propri schiavi, solo il cane è un amico. Certo, un amico devoto, ma sottomesso”.
” Ma umanizzandoli troppo commettiamo un altro grave e insensibile errore. Pensiamo di fargli del bene ma non è così. Poi certo, animali come il cane ci saranno sempre fedeli, anche se li trattiamo malissimo, perché, a differenza del gatto, ci considerano a capo di un “branco”. Diversi studi hanno dimostrato che chi ha animali vive più a lungo, perché sono utili per scaricare lo stress”.
Morris, quanto tempo è passato da quando aristotelismo, cristianesimo e poi lo stesso Illuminismo imponevano una separazione netta tra la razza umana e le “bestie”.
“Vero. Infatti ho apprezzato molto la svolta della Chiesa cristiana, come sentiamo spesso anche da papa Francesco: prima gli animali erano semplici servi, ora sono degli amici con le loro esigenze. Anche grazie a questo cambio di mentalità, la crudeltà nei loro confronti si è decisamente ridotta ed è aumentata la sensibilità collettiva, soprattutto tra i giovani. Quando ero ragazzo, nessuno dei miei coetanei era interessato all’ecologia, all’etologia e alla conservazione delle specie, fino agli anni Sessanta trascurata anche in ambito accademico. Oggi, grazie alla scuola e ai programmi educativi della televisione, non è più così. Questo mi conforta. Ma c’è ancora molta strada da fare per salvare gli animali e noi stessi”.