Quando, il 1° luglio del 1858, la teoria dell’evoluzione per selezione naturale di Darwin e Wallace è stata presentata alla Linnean Society, ha avuto formalmente inizio una rivoluzione senza precedenti nel mondo delle scienze naturali. Le teorie di Darwin hanno drasticamente cambiato il modo di vedere e studiare la natura e le sue infinite sfaccettature, non solo da un punto di vista meramente tecnico: l’idea stessa di vita, con tutte le implicazioni filosofiche e spirituali che ne conseguono, ha fortemente risentito delle geniali intuizioni del naturalista britannico.
Come è sempre successo per tutte le teorie scientifiche innovative e complesse, anche la “Teoria dell’Evoluzione” non è nata perfetta. Nel corso dei successivi 150 anni, è stata sbozzata, ristrutturata e rimodellata, e tuttora lo è, sulla base di nuove evidenze portate alla luce da studi sempre più approfonditi. Nessuno, nemmeno Darwin stesso, ha probabilmente mai creduto che la teoria sarebbe sopravvissuta immutata nei secoli.
Una delle ipotesi di Darwin che è stata parzialmente messa in discussione riguarda i cosiddetti “tempi dell’evoluzione”. Secondo Darwin, ogni passaggio evolutivo è un processo particolarmente lungo, che richiede centinaia di generazioni per potersi completare. Recenti studi, tuttavia, sembrano aver dimostrato che, in alcuni casi, l’evoluzione può procedere a grandi passi e in tempi molto rapidi (Pikaia ne ha parlato per esempio qui o qui). Si tratta, nella maggior parte dei casi, di situazioni particolari: di specie particolarmente predisposte al rimescolamento genetico o di ambienti circoscritti, in cui le pressioni ambientali sono molto forti rispetto ad altri ecosistemi.
Recentemente, un team internazionale di scienziati provenienti da USA, Cina e Italia ha rinvenuto un fossile che getta porta ulteriore dibattito nella questione. Appartiene ad una specie di rettile chiamata Sclerocormus parviceps, membro degli ittiosauri, una famiglia originatasi probabilmente a ridosso dell’estinzione di massa del Permiano-Triassico.
Le informazioni utili a ricostruire gli avvenimenti di quel tempo sono pochi, in particolare per quanto riguarda le specie marine, ma la teoria più accreditata è quella che propone una lenta (circa 10 milioni di anni) diversificazione delle specie sopravvissute ai profondi cambiamenti climatici e geofisici che hanno portato all’estinzione del 96% delle specie acquatiche esistenti. Questa specie, vissuta proprio nel periodo successivo alle estinzioni, presenta numerose e significative differenze rispetto ai suoi parenti più prossimi (come il muso più corto, il becco privo di dentatura e la coda lunga e senza pinne), lasciando intendere che almeno alcuni lignaggi di rettili marini si possano essere evoluti molto più rapidamente di quanto si pensasse.
La scoperta di Sclerocormus parviceps, così diverso dalle specie affini, sembra quindi dimostrare che, in quel periodo, l’evoluzione possa aver messo il turbo, portando a cambiamenti radicali in tempi “molto brevi”, pur trattandosi comunque di qualche milione di anni. Gli autori dello studio suggeriscono che, in casi di particolare emergenza, come, appunto, in seguito a estinzioni di massa, si possano creare dei presupposti per un’accelerazione dei processi evolutivi. Cambiamenti rapidi sono infatti comuni in seguito alle grandi estinzioni di massa, che creano le condizioni per fenomeni di radiazione adattativa, dal momento che vengono a crearsi numerose nuove possibilità ecologiche a causa della scomparsa delle specie che prima occupavano quelle nicchie. È quindi possibile che gruppi di organismi che prima di questi eventi erano confinati in specifiche nicchie ecologiche, riescano ad adattarsi alle nuove condizioni ambientali.
Non si tratterebbe, quindi, di un ritrovamento “aberrante” che “sconfessa Darwin”, come hanno invece titolato alcuni siti di informazione, lasciando intendere che la teoria darwiniana sia stata in qualche modo contraddetta da evidenze scientifiche, bensì di un arricchimento prezioso, che dimostra che la stessa evoluzione, in un certo senso, adatta i suoi meccanismi e i suoi tempi all’ambiente circostante.
Nel caso quest’ipotesi dovesse rivelarsi fondata, si avrebbe a disposizione un importante strumento per comprendere i meccanismi che regolano la velocità dei processi evolutivi in situazioni critiche; strumento che risulterebbe particolarmente utile, per esempio, per poter fare delle previsioni realistiche sulle conseguenze delle estinzioni provocate, in questi tempi, dalla sempre più pesante attività antropica sul pianeta.
Riferimenti:
A large aberrant stem ichthyosauriform indicating early rise and demise of ichthyosauromorphs in the wake of the end-Permian extinction. Scientific Reports, 2016 DOI:10.1038/srep26232
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