La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza secondo cui tra Roche e Novartis potrebbe sussistere “una restrizione della concorrenza” in relazione al farmaco Avastin, che secondo l’Antitrust (che nel 2014 ha multato per circa 180 milioni di euro le due case farmaceutiche proprio per questo caso) sarebbe equivalente al Lucentis, il cui uso è stato incrementato intenzionalmente a scapito dell’Avastin in seguito a un’intesa tra Roche e Novartis.
L’accordo si era concretizzato nella diffusione di notizie in grado di ingenerare preoccupazioni sulla sicurezza degli usi oftalmici dell’Avastin, per orientare la domanda a favore del Lucentis, con conseguenze dirette sui pazienti e sul sistema sanitario nazionale, in considerazione del costo ben più alto del Lucentis.
Ben più di un dubbio sorge sulla scarsa concorrenza tra le due aziende se consideriamo il fatto che l’Antitrust sottolinea come entrambi i farmaci (ritenuti equivalenti ma con costi molto diversi) siano prodotti dalla Genentech, società controllata da Roche, e che la stessa Genentech ha affidato lo sfruttamento commerciale del Lucentis a Novartis!
E non alleggerisce la posizione delle due aziende la difesa di Novartis che afferma come l’immissione sul mercato e il relativo costo del Lucentis siano stati regolarmente concordati con Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco).
Le implicazione economiche della ricerca farmaceutica sono quindi evidenti in questo caso, e sarebbe ingenuo non tenerle in considerazione, o pensare che si tratti di un caso isolato.
E un ruolo centrale, in questo senso, assume la sperimentazione animale, che permette di ottenere “magicamente” riscontri positivi al composto sviluppato o riformulato, veicolando il risultato atteso in base alla specie, ceppo o razza utilizzato: un paravento giuridico che consente la commercializzazione di sostanze equivalenti o tossiche o di cui non si conoscono bene gli effetti sulla nostra specie, diventando noi stessi cavie.
Una serie ricerca basata su metodi alternativi che abbiano come soggetto l’uomo e non un topo o un cane, rappresenterebbe, quindi, un enorme passo in avanti.
L’Italia, i ricercatori, i malati aspettano e hanno diritto a una scienza diversa.
Michela Kuan
Biologa, responsabile Area Ricerca senza animali