La FIP è una patologia virale del gatto, purtroppo quasi sempre fatale. Conoscerla bene può aiutarci a evitare le diagnosi sbagliate e occuparci al meglio del nostro gatto nei momenti difficili.

di Eleonora Degano

Delle molte malattie che possono colpire il gatto di casa, una delle meno note seppur più subdole e terribili è la peritonite infettiva felina, FIP, dall’inglese feline infectious peritonitis. È una patologia virale causata da un ceppo del coronavirus felino (FCoV), virus che è presente nella maggior parte dei gatti ma non è di per sé pericoloso: normalmente non provoca malattie e si parla di coronavirus felino enterico. In alcuni casi però, circa il 5-10% dei gatti, di fronte a una mutazione del virus e/o un’alterazione della risposta immunitaria il virus diventa FIP.

È qui che inizia il terribile viaggio di molte persone che si trovano di fronte a un gatto da un giorno all’altro gravemente malato e ricevono la sconfortante diagnosi di una malattia che non avevano mai sentito neanche nominare. Se in genere la prospettiva è quella di dover dire addio al proprio amico nel giro di giorni o settimane, più raramente mesi, ci sono molte cose da poter fare per garantirgli la miglior qualità della vita possibile.

Nel 2015 ho perso il mio gatto Benson per la FIP e in seguito ho realizzato quanto è utile, nei momenti più brutti, avere a disposizione informazioni chiare e scientificamente solide su come comportarsi, ma anche sulla direzione presa dalla ricerca per combattere questa patologia che oggi non lascia scampo.

Con questo articolo OggiScienza non vuole sostituirsi al vostro medico veterinario di fiducia, che è la prima persona alla quale dovete rivolgervi nel caso il vostro gatto non sembri in salute e manifesti sintomi che possono far pensare alla FIP. Un’ulteriore premessa è che, come conferma il Cornell Feline Health Center della Cornell University, attivo nella ricerca sulla FIP, per questa malattia al momento non c’è cura e l’unico vaccino esistente sul mercato non è consigliato dal Vaccine Advisory Panel della American Association of Feline Practitioners.

Bisogna dunque diffidare da chi vi propone “cure” alternative, e come per altre patologie, l’omeopatia in veterinaria non è una soluzione come non lo è per noi.

Il mio gatto è a rischio?

La FIP può manifestarsi settimane, mesi oppure anni dopo l’infezione, spesso a seguito di un forte stress. Quando il coronavirus felino diventa FIP (spesso sentiamo parlare di FIPV), l’intero processo di risposta immunitaria del gatto avviene senza che ce ne accorgiamo. Ed è proprio l’interazione tra il virus e il sistema immunitario del gatto a essere responsabile della patologia: il FIPV sfrutta il sistema immunitario per spostarsi nel corpo e provoca un’intensa risposta infiammatoria a carico dell’addome, dei reni, del cervello, che si manifesta con sintomi molto vari.

Tutti i gatti potenzialmente sono a rischio, ma questo aumenta in quelli con sistema immunitario compromesso o debole: gatti malati di FIV, il virus dell’immunodeficienza felina, o di FELV, il virus della leucemia felina, ma anche i cuccioli e i gatti anziani (sopra gli 11 anni). La maggior parte dei casi si ha in gatti più giovani di due anni.

La FIP si trasmette di gatto in gatto, tramite contatto di un gatto con le feci di un altro infetto o della mamma con i suoi gattini. È poco comune nella popolazione generale di gatti e la si trova più spesso nelle situazioni “affollate” come rifugi e allevamenti. In alcune razze di gatti è più comune, ma non è chiaro se siano più suscettibili o il motivo sia proprio la convivenza di molti animali.

La FIP non è altamente contagiosa ma è quasi sempre fatale. I tempi possono cambiare molto di gatto in gatto, ma nei casi peggiori quello che era un gattino vitale e sano si trasforma nel giro di una manciata di giorni o settimane in un animale depresso, inappetente e gravemente malato.

Ci sono due tipi di FIP, una effusiva (wet FIP, umida) e una non effusiva (dry FIP, secca). Possono esordire con sintomi simili e per nessuna delle due manifestazioni c’è cura, ma la versione secca ha una progressione più lenta rispetto a quella umida.

I sintomi e la diagnosi

Uno dei motivi per cui la diagnosi di FIP è complicata è che non c’è modo di avere la certezza se non tramite biopsia o necropsia del gatto dopo la morte. Spesso viene confusa con altre malattie e una risorsa preziosa che viene in aiuto ai veterinari nella diagnosi è il grafico di Diane Addie, virologa veterinaria specializzata in FIP. Lo trovate qui e potete suggerire al vostro veterinario di dargli un’occhiata.

FIP umida e secca possono manifestarsi con sintomi simili, che comprendono: pelo ruvido, perdita di appetito, diarrea, tosse, iperlacrimazione, raffreddore, anemia, depressione e uveite.

Nella forma umida in particolare si verificano versamenti di liquidi nell’addome, nel pericardio e nella pleura, che rendono difficile per il gatto respirare normalmente e vengono in genere rimossi tramite siringa. In molti casi, soprattutto se il liquido si accumula nell’addome, lo si nota a occhio nudo dalla pancia gonfia e accompagnato dalle difficoltà respiratorie.

I test più comuni come l’ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) e l’IFA (test di immunofluorescenza indiretta) possono rilevare il coronavirus ma non differenziare i vari ceppi. Permettono quindi di sapere se il gatto vi è stato esposto, ma non significa necessariamente che abbia la FIP o che la svilupperà.

Il veterinario arriverà a una diagnosi di FIP e a differenziarla tra forma umida e secca combinando vari elementi: storia del gatto, sintomi, titolo anticorpale, analisi del liquido prelevato dai versamenti, analisi del sangue.

I trattamenti per la peritonite infettiva felina

Non esiste oggi una cura per la FIP né un trattamento che in tutti i gatti si è dimostrato più efficace di altri. La malattia è fatale e si può ottenere solamente una parziale remissione, riducendo l’infiammazione e/o sottoponendolo (su indicazione veterinaria) a fluidoterapia, trasfusioni, somministrazione di corticosteroidi.

In molti casi insistere e cadere nell’“accanimento terapeutico” potrebbe servire solo a stressare di più il vostro gatto, togliendogli in qualità della vita ciò che guadagna con le terapie. Valutate con cura, in base alla sua qualità della vita, come intervenire. Altre opzioni che potreste incontrare includono la somministrazione tramite iniezioni di interferone omega di origine felina, una strada molto costosa ma che non garantisce miglioramenti né – come già detto – la guarigione.

Decidete insieme al vostro veterinario come è meglio procedere in base alla progressione della patologia e alle condizioni del vostro gatto. Gli animali sono molto abili nel nascondere la propria sofferenza – motivo per il quale la stessa FIP può inizialmente passare inosservata – ma con l’avanzare della malattia e il peggiorare dei sintomi la loro qualità della vita deteriora sensibilmente. Starà a voi valutarla e prendere così la decisione migliore.

Non c’è una cura, ma la ricerca continua

La ricerca veterinaria sulla FIP continua, concentrandosi su due filoni. Il primo è l’immunosoppressione per controllare la risposta immunitaria del gatto malato, il secondo riguarda invece gli antivirali, con l’obiettivo di rallentare la progressione della FIP. Molti studi in corso sono sostenuti dalla Winn Feline Foundation – Bria Fund, e qui trovate la lista completapubblicata a maggio. Tra quelli già dettagliati:

  • alcuni scienziati mirano a studiare le differenze genetiche che a livello immunitario giocano un ruolo nello sviluppo della FIP, capire quanto sono diffuse nella popolazione felina e capire più precisamente perché in alcuni gatti il coronavirus diventa FIP.
  • si continua a cercare un vaccino efficace, perché come già detto quello sul mercato non si è provato sufficientemente valido e non è consigliato dai veterinari. Nuove ricerche mostrano che nel virus c’è un gene specifico che potrebbe proteggere il gatto dall’infezione che causa la malattia; un nuovo studio proverà a sviluppare un vaccino attenuato, ovvero dove l’agente infettivo è vivo ma “indebolito” per ridurne la virulenza e non trasmettere la malattia ma immunizzare contro di essa.
  • si testa l’efficacia in veterinaria delle terapie anticoronavirus già utilizzate con successo sugli esseri umani.
  • ricerca e sviluppo di un test rapido ed efficace per la FIP, sfruttando un biomarcatore che renda più semplice individuarla nei campioni prelevati dal gatto.

La prevenzione

La FIP non si può curare ma ci sono attenzioni che possono fare la differenza nella prevenzione. Specialmente se avete già avuto un caso di FIP in famiglia, tuttavia, non bisogna farsi prendere dalla paranoia con l’arrivo di un nuovo gatto o con la pulizia della casa per liberarla dal virus (che sopravvive nell’ambiente per diverse settimane). Le buone pratiche che segnaliamo sono volte al benessere del gatto e non sono indicazioni specifiche per la FIP, quanto piuttosto consigli che valgono sempre. Per assicurare al vostro animale domestico una vita in salute e di qualità e alla vostra casa una buona igiene.

Lettiera: va tenuta lontana da acqua e cibo e pulita quotidianamente, meglio se più volte al giorno (almeno due). Quando la sostituite è consigliato disinfettare la cassettina con cura e poi risciacquarla bene per eliminare i residui dei prodotti usati. Le lettiere che fanno poca polvere – e realizzate in materiali che non irritano le vie respiratorie – sono da preferire per il benessere del gatto stesso ma anche per evitare che i frammenti vengano trasportati in giro per casa sotto le zampe. Se avete più gatti in casa, dovrebbe esserci a disposizione almeno una lettiera per gatto.

Igiene della casa: per lo stesso motivo di cui sopra, i pavimenti vanno tenuti puliti. Dopo aver perso un gatto per FIP non fatevi prendere dal panico; il virus sopravvive nell’ambiente ma una buone routine di pulizia e la disinfezione di giocattoli, cuccia e altri oggetti del gatto che avete perduto è sufficiente. Gli esperti consigliano di attendere almeno un mese per adottare un altro gatto e portarlo in casa. Se ne avete già un altro, fare periodici titoli anticorpali non è consigliato, nemmeno per valutare l’esposizione al virus: la presenza del coronavirus in sé non significa presenza di FIP né che il gatto la svilupperà.

Cura del gatto: un gatto sano e ben curato si ammala meno. Fate controlli periodici dal veterinario per monitorare la sua salute e tenere in ordine le vaccinazioni, stabilendo un calendario vaccinale adatto anche in base allo stile di vita del vostro gatto (se vive solo dentro casa, se sta soprattutto all’esterno, se vive in compagnia di molti altri gatti e via dicendo). Curate la sua alimentazione, scegliendo cibo di qualità.

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