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Uno studio condotto in cinque ospedali diversi : «Ciò che rende questo studio unico nel suo genere è il fatto che è multisede – cioè svolto in cinque diversi ospedali in tutto il paese – e che abbiamo visitato oltre un centinaio di pazienti e monitorato 26 cani da pet therapy» spiega Amy McCullough, responsabile dello studio e direttore nazionale di ricerca e terapia della American Humane.
I ricercatori hanno determinato lo stress misurando i livelli dell’ormone che lo genera, il cortisolo, nella saliva dei cani. I campioni sono stati prelevati sia a casa che durante i periodi di pet therapy svolta in reparti di neoplasia infantile. E non sono state rilevate significative differenze a dimostrazione, dicono i ricercatori, che per il cane queste attività non sono stressanti.
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Ma un conto è lo stress e un conto è il provare piacere nel svolgere questo “lavoro”. Il cortisolo, infatti, non è un parametro univoco: i suoi valori cambiano anche quando il cane gioca, per esempio quando corre a prendere la palla.
Per questo gli studiosi statunitensi hanno voluto monitorare in generale anche il comportamento dei quattrozampe. Per farlo hanno filmato e analizzato le reazioni suddividendole in tre categorie: azioni amichevoli (avvicinarsi a una persona o giocare); indicatori moderati di stress (leccarsi le labbra e agitarsi); e comportamenti ad alto stress (guaire).
Anche in questo caso gli animali a contatto con i bambini malati, non sono mai risultati particolarmente stressati. Anzi, nella maggior parte dei casi i cani mostravano addirittura entusiasmo: se un bambino interagiva con loro, parlando, accarezzandoli o usando un loro giocattolo, il cane mostrava segni di contentezza a conferma che queste attività gli risultavano decisamente gradite.
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“Sono fondamentali l’esperienza, il coinvolgimento e il rispetto” . A leggere i risultati della ricerca in molti potrebbero pensare che anche il loro cane potrebbe svolgere la stessa attività divertendosi e facendo del bene. A dirlo, ma anche a smentirlo sono gli stessi ricercatori che hanno condotto lo studio: «E’ un’attività complessa dove deve esserci un’interazione reciprocamente vantaggiosa quando sono in visita dal paziente – dice McCullough -quindi è importante che il cane ami davvero il proprio lavoro».
Un lavoro che il cane arriva a fare dopo molta preparazione, con approccio graduale. «E’ fondamentale l’esperienza del cane. – spiega Antonia Tarantini, presidente dell’associazione Aslan -. Sono attività a cui l’animale si approccia in maniera graduale. Con l’esperienza e la formazione impara a modulare i suoi movimenti, a calibrare la sua energia e a esprimere al meglio la sua personalità. Solo così il cane può “gestire” il rapporto con determinate tipologie di pazienti. Noi operiamo all’IRCC di Candiolo dove il cane incontra i pazienti oncologici sotto trattamento chemioterapico , entra in una struttura dove sente emozioni differenti. Il cane percepisce la sofferenza. Solo grazie all’esperienza e a quanto vissuto in maniera graduale durante altri interventi, sa come comportarsi e a gestire queste situazioni: si inizia con progetti più facili e poi, in base ai risultati, all’indole e al carattere dell’animale, si passa a livelli più complessi».
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« In questo è fondamentale il rapporto che il coadiutore ha con il suo animale che deve conoscere al meglio: il cane deve vivere i suoi interventi in una condizione di reciproco vantaggio, ossia amare ciò fa. Deve essere una gratificazione, prima che un lavoro – aggiunge Tarantini -. Il suo benessere è fondamentale, a partire dal numero di ore che lo vedono impegnato negli interventi assistiti: il cane può lavorare mediamente circa due o tre ore a settimana, prevedendo dei periodi di riposo. Deve condurre una vita sana e felice al di fuori del lavoro, vedendo soddisfatti tutti i suoi bisogni. Solo così l’attività di pet therapy non diventa uno stress, ma un modo che il cane ha per realizzarsi. Una condizione positiva che lo stesso paziente percepisce».