Pare che da qualche decennio in qua sia in corso nella popolazione felina un’epidemia di ipertiroidismo: gatti che all’improvviso diventano insaziabili eppure perdono continuamente peso. I dati mostrano che un disturbo raro fino agli anni ’70 è cresciuto in modo costante nei decenni successivi fino ad arrivare oggi a colpire circa il 10 per cento dei gatti domestici anziani dal Canada all’Europa, dal Giappone all’Australia.
Il gatto domestico, come vive
Il fenomeno è stato indagato da 35 anni presso l’Animal Endocrine Clinic di Manhattan dal dottor Mark Peterson, intervistato recentemente dal New York Times in merito a questo tema. Il veterinario ha trattato più di 10mila gatti ipertiroidei e insieme ad altri studiosi ha cercato di capire l’origine di questa malattia. Nella ricerca di fattori dietetici, ambientali e di stile di vita che distinguono i gatti ipertiroidei da quelli sani, i comportamenti che più di tutti sembravano mettere i felini a rischio erano: trascorrere la loro vita in ambienti chiusi, dormire sul pavimento, sui divani, sui letti e stare a contatto con la polvere, ma soprattutto, leccarsi continuamente e ingerire una buona dose di peli venuti a contatto con l’ambiente. Alla fine, i ricercatori hanno trovato un probabile colpevole: una classe di ritardanti di fiamma noti come Polibromodifenileteri (PBDE).
«L’inquinante dei divani»
A partire dagli anni 1970, sono stati regolarmente aggiunti a molti articoli per la casa, tra cui cuscini del divano, imbottiture, tappeti ma anche computer e televisori: servivano a rendere le superfici meno infiammabili. I composti possono attaccarsi alle particelle di polvere di casa e rivestire pavimenti e mobili. Già dal 2000 era noto come potessero alterare la funzione della tiroide nei roditori, uccelli e pesci, tanto che in Europa sono banditi dal 2003. Comunque ci vorranno anni perché si degradino nell’ambiente, per non parlare delle case dove sono ancora presenti molti prodotti realizzati con PBDE prima che fossero ritirati dal mercato.
I PBDE nei felini
Misurando i livelli di PBDE nel sangue dei gatti la tesi è stata confermata: gli animali presi in considerazione da uno studio del 2007 di due scienziati della Environmental Protection Agency Usa avevano livelli di PBDE da 20 a 100 volte più alti di quelli normalmente osservati negli adulti americani. Anche in diversi tipi di cibo per gatti c’erano alti livelli dell’inquinanti, in particolare nei cibi in scatola a base di pesce. Analisi simili sono state compiute negli anni successivi, le ultime in Svezia nel 2015 e in California nel 2016 e i risultati sono stati analoghi. «L’aspetto interessante è il tipo di patologia sviluppata dai gatti – dice il professor Alfredo Pontecorvi, direttore Area Endocrinologia e Malattie del Metabolismo al Policlinico Gemelli di Roma – , che non sfocia in un disturbo autoimmune ma in un eccesso di produzione di ormoni prodotti da noduli iperfunzionanti. I gatti sono iperattivi, ma anche deboli perché i muscoli ne risentono, altri sintomi possono comprendere diarrea, tachicardia e tremori».
I PBDE nell’uomo
E veniamo a noi: gli scienziati trovano tracce di PBDE in quasi ogni persona presa in considerazione, compresi i neonati: i livelli sono aumentati di 100 volte dal 1970 ai primi anni 2000 anche se ora sembrano essere in declino. Per questo ultimamente si sono fatti numerosi studi a riguardo. Abbiamo chiesto alla dottoressa Laura Fugazzola, docente di Endocrinologia all’Università degli Studi di Milano – endocrinologa presso l’Istituto Auxologico di Milano, se è confermato che i PBDE possono influire sul funzionamento della tiroide: «Ormai è un dato assodato: questi composti hanno una struttura veramente simile a quella degli ormoni tiroidei. Vengono sicuramente assorbiti dal nostro organismo e sballano la produzione degli ormoni. Si è capito che bassi livelli di esposizione a queste sostanze provocano un ipotiroidismo (disturbo che tra l’altro fa ingrassare) e alti livelli di esposizione provocano l’ipertiroidismo (che fa dimagrire). Si è visto anche che questi composti si trovano anche nella placenta – continua la professoressa -, per cui è ipotizzabile che abbiano effetti sul feto, ma questo ancora non è dimostrato. Anche l’associazione con l’aumento del cancro alla tiroide è stato indagato ma per ora non si sono trovate correlazioni sufficienti».
I pericoli per l’uomo e cosa fare
Quindi, riassumendo, quali sono i pericoli assodati per l’uomo? «Quel che sappiamo di certo dall’ultima recentissima revisione di esperti è che i PBDE alterano in vario modo la funzionalità tiroidea». Cosa possiamo fare per proteggerci visto che (anche se il materiale non è più in commercio dal 2003) nelle nostre case possiamo avere parti di arredamento che contengono PBDE? «L’unica cosa da fare è controllare dopo i 50 anni negli esami del sangue di routine se la nostra funzionalità tiroidea è normale. È una buona pratica in ogni caso – spiega la dottoressa Fugazzola -, visto l’aumento dei disturbi e cancro alla tiroide negli ultimi anni e visto che i PBDE non sono le uniche sostanze tossiche presenti negli ambienti che frequentiamo». A questo proposito il professor Pontecorvi ricorda un episodio del 2003: «Un medico americano visita un postino che aveva un problema di tiroide, che gli racconta che molte mamme del vicinato si lamentavano di avere figli irrequieti che non dormivano la notte (come i gatti), alla fine venne fuori che erano tutti diventati ipertiroidei. I bambini mangiavano spesso in una catena fast food dove gli hamburger venivano preparati con carne presa dai muscoli del collo: alla fine facevano panini a base di tiroide».
I nostri gatti sono sentinelle
Tornando ai gatti i PBDE quindi potrebbero non essere gli unici colpevoli dell’epidemia felina, visto che i ricercatori del California Department of Toxic Substances Control recentemente hanno identificato più di 70 diversi composti che sembrano essere presenti in concentrazioni elevate soprattutto nei gatti ipertiroidei. Quel che propone sul New York Times il dottor Peter Rabinowitz, che dirige il Center for One Health Research dell’Università di Washington che esplora le connessioni tra la salute dell’uomo e quella degli animali, è di esaminare le cartelle cliniche degli animali domestici insieme a quelle dei loro proprietari. «Resto convinto che prestare più attenzione a ciò che gli animali stanno cercando di dirci è una buona idea», dice Rabinowitz. Insomma utilizzare i nostri gatti domestici come i “canarini delle miniere di carbone”, che avvisavano i minatori su eventuali fughe di gas: per il peculiare modo che hanno di vivere i nostri appartamenti sono infatti sentinelle che potrebbero lanciare utili allarmi sulle sostanze tossiche presenti in casa potenzialmente pericolose anche per noi.