A Chartwell Estate, la residenza nella campagna del Kent di Winston Churchill, oggi vive Jock VI, ex randagio “erede” di Jock, il ginger cat da cui il primo ministro inglese non si separava mai. Il National Trust, che ha in custodia la dimora, ha infatti onorato la volontà della famiglia di ospitare gatti orfani del tutto simili all’originale, l’amatissimo tigrato rosso dalle zampe bianche. Al 10 di Downing Street invece la tradizione di accogliere gatti randagi inizia nel 1970, con Wilberforce, “Chief mouser to the Cabinet office”, che ha accompagnato Edward Heath e James Callaghan; è proseguita con Humphrey, arrivato con Margaret Thatcher, rimasto con Major e Blair, fino a Larry, adottato da Cameron nel 2011, e che ora condivide le stanze del potere britannico con Theresa May. Ma accanto a queste storie di ex randagi assurti alle cronache – e insigniti del ruolo ufficiale di “funzionari dello stato” – ne spiccano altre più intimiste, che raccontano di profonde empatie con l’uomo, in cui la cura dell’animale randagio diventa balsamo per lenire le proprie ferite, o strumento di autoanalisi.
È il caso del (vero) gatto Bob, la cui vicenda è stata raccontata nel libro bestseller “A spasso con Bob” (Sperling & Kupfer), e nell’omonimo film di Roger Spottiswoode. È la storia di un duplice salvataggio: quello del gatto Bob, raccolto ferito dal musicista di strada James Bowen, e quello di James, cui Bob cura le ferite dell’anima, accompagnandolo nel percorso di disintossicazione – «Lui è quello per cui mi sveglio ogni giorno», scrive James nel libro.
Racconta invece dell’abbandono umano e della rinascita il film d’animazione dai delicati toni pastello, evanescente come un acquarello, “Le stagioni di Louise” di Jean- François Laguionie, a dicembre nelle sale.
L’anziana protagonista, Louise, riesce a sopravvivere alla solitudine, stemperandola in una pace introspettiva, anche grazie all’amicizia con un cane “parlante”, che diviene voce dei suoi ricordi, e con cui condivide l’abbandono e la vecchiaia. Hanno poi uno sguardo eloquente, empatico gli homeless dogs del volume “Rescue me!” di Richard Phibbs (Aperture). Il fotografo di moda dal 2012 ha ritratto in scatti belli e patinati, ma che non nascondono i segni della vita di strada, i cani randagi del rifugio di Manhattan della Humane Society di New York, per promuoverne l’adozione. Nella convinzione che la fotografia, afferma Phibbs, abbia «lo straordinario potere di motivare, cambiare e ispirare le persone ».
(Ha collaborato Antonio Privitera)
Vogue Italia, dicembre 2016, n.796, pag.92