Il gatto è la grande bellezza della natura. L’animale più affascinante, misterioso, galante. Nel corso dei millenni le arti – letteratura, poesia, pittura, cinema – lo hanno raccontato in tutti i modi, in tutte le pose. Che strano. Tanto è stato detto per un belva, ma mansueta, così riservata, silenziosa, solitaria. Eppure.
Eppure sono migliaia, e famose, le pagine d’autore sui gatti: Hoffmann, Colette, Eliot, Pessoa… Ma fra tutti i libri scritti in materia felina, uno dei più divertenti, per nulla datato nonostante l’età bibliografica, è il trattatello Sul gatto. Cenni fisiologici e morali del medico chirurgo e scrittore infaticabile – di poemetti, poesie dialettali, opere umoristiche… – Giovanni Rajberti (1805-61), penna colta e ironica di strettissimo rito ambrosiano. Il libello, oggi elegantemente ristampato da La Vita Felice (pagg. 132, euro 12), ebbe nel 1845 una prima tiratura limitata, per gli amici del «dottore», dedicata al Conte Giulio Litta Visconti Arese, poi l’anno successivo una seconda edizione di 3500 copie (e l’appendice «La coda», scritta dal Rajberti in risposta a una critica uscita sul Corriere delle Dame), ed è un pettinatissimo elogio – acritico e faziosissimo e irresistibile – al suo amatissimo «animal grazioso e benigno» (c’è da dire che tempo prima il Rajberti aveva scritto anche un elogio funebre al proprio cane, El pover Pill, che però non è all’altezza del Gatto).
Comunque, eccolo, il panegirico più curioso, ambiguo, agile, malizioso, elegante – che piacque molto a molti, fra cui Aldo Palazzeschi – mai scritto sui gatti. Di cui si racconta lo stile di vita, i tratti caratteriali (si dice che se Baudelaire fu il poeta del gatto, Rajberti ne fu lo psicologo), le numerose virtù, gli inesistenti vizi, l’intelligenza umana («Nessuno è più machiavellico del gatto», che applica ai cani e ai topi l’insegnamento del grande fiorentino, «i nemici bisogna vezzeggiarli o spegnerli» a seconda della loro forza: tollerando prudentemente i primi, cacciando implacabilmente i secondi).
Fra i capitoli più felici e felini, da segnalare «Il gatto vero padrone della casa», in cui si riconosce che il titolo di padrone non compete a chi ha comprato o ereditato l’appartamento, o la villa, al quale tocca semmai pagare l’imposta, attendere alle riparazioni e alle spese di gestione, «sentire dagli inquilini rimproveri e minacce»; no il vero padrone di casa è il gatto, ossia il solo «a goderla e abitarla tutta quanta, dallo studio alla dispensa, dall’oscuro sottoscala all’aperto giardino» e tutti gli altri luoghi inaccessibili all’uomo… Poi il capitolo «Apologia dell’ozio»: «Ma insomma, dirà taluno, come passa egli (cioè il gatto, ndr) la sua vita? Rispondo con una sola parola: da gran signore. Accudisce premurosamente alle più importanti occupazioni: mangiare, digerire, dormire, attende parecchie ore del giorno alla grand’opera della toilette… D’ordinario poi, quando non sappia far di meglio, egli concede a se stesso le delizie soavi e lunghissime d’un ozio tutto filosofico e contemplativo»… E sopratutto la parte dedicata a «La gatta»: unico caso, fra tutte le classi di animali dove di norma il vanto della bellezza è sempre virile (per il colore delle penne, per le corna più rigogliose, per la pienezza delle forme…) in cui la femmina vince il confronto col maschio. Come fra gli uomini.