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Genova – L’assessora alla cultura del Comune di Genova, Elisa Serafini, con una serie di regole interne ha consentito ai dipendenti dell’ufficio cultura di portare il proprio cane in ufficio, all’interno di Palazzo Ducale, durante l’orario di lavoro.
La stessa Serafini porta il suo Benji, un barboncino che fa compagnia a Pixel, Amelia, Simpson e Gioia: «Portare il proprio cane nel posto di lavoro – ha detto Serafini – migliora il clima tra colleghi e induce le persone a non correre a casa per portar fuori il cane».
Resta la condizione che il cane non deve «creare disagio: se c’è qualcuno che ha paura o è allergico, il cane non entra». La presenza di Benji e degli altri cani testimonia «un nuovo approccio – ha detto Serafini – Una nuova declinazione del vivere con il cane, una sperimentazione che a primavera arriverà anche nei musei genovesi».
Ma c’è di più: «Rendere più semplice la vita di chi adotta i cani o gli animali in generale porterà maggiore motivazione all’adozione. E questo ridurrà anche le spese del Comune». L’amore per gli animali diventa un fattore culturale e esce dal target politico che per lungo tempo ha contraddistinto l’animalismo: un amore che «non ha colore politico. È trasversale: in Comune a Genova c’è un intergruppo formato da persone con diverse sensibilità e di partiti diversi che si fanno portavoce dei diritti degli animali».
In Italia, la prima azienda a permettere ai dipendenti di portare il loro cane in ufficio è stata la Purina, che non a caso produce cibo per animali. «Sono state svolte tutte le verifiche preliminari necessarie a garantire il rispetto della salute, della sicurezza e delle esigenze di tutte le persone che lavorano in azienda, oltre che dei pet – si legge sul sito dell’azienda -. Inoltre, è stata creata una policy dedicata, che stabilisce regole e procedure condivise».
Gli educatori: ok, ma non basta il giudizio del padrone
Portare i cani in ufficio (come ha permesso il Comune di Genova) è una buona cosa, aumenta la produttività del lavoratore e riduce l’assenteismo. Ma questa possibilità deve essere ben disciplinata e ben gestita, altrimenti crea problemi agli animali e alle persone. È questa l’opinione di due educatori cinofili. «In Germania e nei Paesi Bassi si fa da tempo – commenta Mauro Bassano, educatore Enci (Ente nazionale cinofilia italiano) di Roma – Ci sono studi medici che dimostrano che la produttività del dipendente è maggiore in presenza del suo animale, come quando si può tenere il figlio nell’asilo aziendale. Si ha un beneficio emotivo e si riduce l’assenteismo».
Della stessa opinione è Giusy D’Angelo, educatore dell’Enpa (Ente nazionale protezione animali) di Torino: «È una cosa assolutamente positiva. Diminuisce lo stress del cane, e la persona riesce a concentrarsi meglio sul lavoro, non avendo più la preoccupazione dell’animale lasciato a casa». I problemi possono sorgere dalla mancanza di regole e strutture per la gestione dei cani, e dalla incapacità dei padroni di educarli. Per Bassano «in Italia la cultura cinofila delle persone è bassa, i cani mediamente sono meno educati che nel Nordeuropa». «In Gran Bretagna e in Francia hanno gli “office dog parking” – spiega D’Angelo – Quella è una situazione ottimale, il padrone può stare con lui nella pausa. Ma se il cane sta in ufficio, possono esserci problemi con i colleghi. Serve un regolamento chiaro, serve una valutazione del cane fatta da un professionista, che attesti che può stare bene in quella situazione. Non basta il giudizio del padrone».
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