Il suo cane stava molto male e aveva bisogno di un intervento urgente medico veterinario. Una dipendente pubblica, single, non avendo alternative e per stare vicino al quattrozampe, aveva chiesto senza successo al suo datore di lavoro – un’università romana – il riconoscimento del permesso retribuito di due giorni di assenza. Diritto che in un primo tempo non gli era stato dato e solo successivamente, grazie al supporto tecnico-giuridico offertole dalla Lav, è stato riconosciuto. Lo riferisce la Lega Anti Vivisezione in una nota.
«Ora, con le dovute certificazioni medico-veterinarie, chi si troverà nella stessa situazione potrà citare questo importante precedente – ha dichiarato Gianluca Felicetti, presidente della Lav che ha aiutato la donna nella vertenza – un altro significativo passo in avanti che prende atto di come gli animali non tenuti a fini di lucro o di produzione sono a tutti gli effetti componenti della famiglia, è un altro passo avanti verso un’organica riforma del Codice Civile che speriamo il prossimo Governo e il prossimo Parlamento avranno il coraggio di fare, approvando la nostra proposta di Legge ferma dal 2008».
La mancata cura di un animale di proprietà integra, infatti, secondo la Giurisprudenza, il reato di maltrattamento degli animali previsto dal Codice penale. Non solo ma vige il reato di abbandono di animale, come previsto dalla prima parte dell’articolo 727 del Codice penale. È evidente quindi che non poter prestare, far prestare da un medico veterinario cure o accertamenti indifferibili all’animale, come in questo caso, rappresentava chiaramente un grave motivo personale e di famiglia, visto che la signora vive da sola e non aveva alternative per il trasporto e la necessaria assistenza al cane.
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