Un manifesto contro il circo e contro l’uomo che sottomette, ferisce, costringe con violenza gli animali umiliandoli. Michael cane da circo di Jack London era stato tradotto negli Anni 20 e trasformato in un libro per ragazzi. Erano state eliminate molte scene di violenza, crude, al limite anche per alcuni adulti come quella dello spillone conficcato nelle carni di un pony per costringerlo a «baciare» l’addestratore. Così l’allora casa editrice Bietti ne fece una sorta di favola di viaggio avventuroso per ragazzini dove Michael, un giovane cane terrier, viveva una vita avventurosa con un compagno umano – un marinaio – prima, e poi finiva nelle mani di un addestratore di animali da circo.  

Ma se per Bietti la vita del circo si limitava alle esibizioni, la nuova traduzione voluta da Tarka e firmata da Benedetta Aleotti, restituisce la atroce verità al romanzo di London. «Molto presto nella mia vita – scrive London nella prefazione – ho iniziato ad avere repulsione per le esibizioni di animali ammaestrati. È stata la mia curiosità a rovinarmi. Mi ha portato a esplorare i retroscena dell’esibizione per capire come venisse messa in atto».  

Michael cane da circo a un secolo dalla sua prima pubblicazione è la traduzione integrale, e diventa così un libro complesso anche nel linguaggio. La storia infatti ha come scenografia le isole del Pacifico dove i personaggi, la gran parte marinai, si esprimono in un dialetto «beche de mer», parlato tra coloni e indigeni, una sorta di inglese abbozzato che si mescola bene alle capacità di raccontare dei protagonisti umani, Dag Daughtry (stewart di velieri) e il Vecchio Marinaio.  

Il racconto è tutto dalla parte del cane, o meglio degli animali, ma sono i sentimenti di Michael, la sua passione e il suo odio per il «dio padrone» che diventano un modo per vedere il vero volto di questo dio, l’uomo, capace di crudeltà gratuite. Come in una scena di pesca: mentre il Vecchio Marinaio assiste disgustato all’entusiamo per il modo di ucciderei black fish «Daughtry, che era altrettanto (come il Vecchio Marinaio, ndr) ferito dalle ferite inferte agli animali inoffensivi, solidarizzava con lui e gli portava non richiesto un altro sigaro».  

Il viaggio di Michael è appassionante: «rapito» dallo steward – un «ladro di cani» si autodefinisce Daughtry – eccolo tra le isole del Pacifico, a bordo di veloci velieri, per approdare ai saloon affollati di marinai di San Francisco, fino agli speroni rocciosi della montagna di Sonoma. 

Il viaggio poi si trasforma però in una discesa agli inferi quando Michael cade tra le mani di un ammaestratore di animali. Con gli occhi del terrier le scene dei retroscena raccapriccianti degli spettacoli circensi diventano ancora più crudeli, se possibile. Gli animali vengono legati per le zampe e trascinati per costringerli a genuflettersi, trafitti, privati del cibo. Michael si rende conto che «la conoscenza era appresa attraverso il dolore. In breve, era il collegio del dolore».  

Michael è considerato un cane speciale, capace di imparare in fretta dal «giovane dio» che lo aveva in custodia. Ma una volta «liberato, Michael guardò il dio padrone e aspettò quello che poteva succedere. Un grido di dolore di uno degli orsi gli suggerì cosa poteva aspettarsi».  

Ma Michael già «cane cacciatore di negri» all’inizio del romanzo è anche un cane molto intelligente e la sua vita non finirà in un circo per il divertimento degli uomini.  

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