Angelo Vaira parla al telefono mentre è a spasso con il suo cane, Jean Pierre, in Alto Adige. «La prima settimana di stacco. La scorsa estate, invece di andare in vacanza, ho scritto un libro».
Il volume si intitola Un cuore felice. Divertiti con il tuo cane (Sperling & Kupfer, 168 pagg., 16 euro). Vaira, che è un noto coach della relazione col cane e fondatore dell’approccio cognitivo-relazionale e della scuola cognitivo-zoonatropologica di pet training (sembrano definizioni complicate ma non lasciatevi intimorire), lo ha scritto a quattro mani con allieva Valeria Raimondi.
Si tratta di una sorta di manuale, tra teoria e pratica, per insegnare, appunto, a giocare con il proprio cane, divertendosi (umani e animali), sfruttando, al tempo stesso, le potenzialità educative del gioco.
Lei cita tra i giochi attività che, di solito, le persone identificano con l’addestramento. Comandi come «siedi», «resta».
«Gli addestratori, quelli bravi, utilizzano il gioco. Un cane lo puoi addestrare in questo modo o con la paura: per convincerlo a fare una certa cosa o lo sottometti o lo fai divertire».
Pensavo che sottomissione e punizioni non le usasse più nessuno.
«No, no. Alcuni lo fanno ancora. Usano collari a strangolo o addirittura elettrici (Ovvero che possono dare la scossa, ndr). Fino a una quindicina di anni fa era la prassi. Oggi chi utilizza il gioco parla di educazione, non di addestramento. E come si fa a capire se il cane sta giocando? Dai suoi atteggiamenti: i balzi, il “sorriso”. Lo vedi se si sta divertendo. Anche se la tua finalità può essere quella di educarlo a compiere certe azioni. Il punto, però, è che per rimanere gioco a tutti gli effetti, ti devi divertire anche tu. Non può essere solo finalizzato a ottenere certi risultati e non deve seguire regole prestabilite in modo rigido. Se non sei coinvolto, il cane si diverte a metà».
Ma se, come spiega lei, bisogna conoscere le regole del gioco – e lei ne elenca 16 fondamentali – non c’è il rischioi che le persone debbano impegnare così tanto da non divertirsi più?
«Una volta letto il libro, bisogna dimenticarselo. Le “regole” devono diventare patrimonio inconscio. E da quel punto in avanti bisogna fare attenzione a quello che il cane esprime: che cosa preferisce fare? Che cosa mi sta insegnando con il suo atteggiamento? Lascio che sia l’animale a mostrarmi come si gioca ma, invece di diventare schiavo di un unico schema, posso variare. Molti, una volta imparato a giocare con la pallina, continuano a fare solo quello per tutta la vita (Nella gallery, trovate parecchie idee di giochi nuovi, ndr)».
Tra le varie cose, spiega la regola del «finito». Ovvero come comunicare al cane che il momento del gioco si è chiuso. C’è anche un modo per rinviarlo senza frustrazioni per l’animale? Mettiamo che arrivi palla in bocca come dire «me la tiri?» mentre stai lavorando al computer.
«Il punto di partenza è che, comunque, del tempo per lui la devi trovare in modo regolare. Se rimandi è basta, ti romperà le scatole fino a quando non si rassegna e diventa un animale triste. Ma è giusto anche che impari a rispettare i tuoi spazi. Come fare, allora? È fondamentale, al contrario di quanto dicono parecchi, non ignorarlo: gli fai un sorriso e una carezza sulla testa e gli dici, semplicemente: “Adesso non è il momento”. Anche se non capisce le parole, comprende il significato del tuo atteggiamento e imparerà ad associarlo all’idea del “non adesso, più tardi” in maniera corretta».
E come si fa a modificare un’associazione negativa? Mettiamo che il cane si sia fatto male accidentalmente durante un gioco e non voglia più farlo per paura di provare di nuovo dolore.
«Il gioco viene utilizzato proprio per fare un reframing delle esperienze negative: se, per esempio, non ama la pioggia, attraverso il gioco, posso trasformarla in un qualcosa di positivo. Ma può essere utilizzato anche al contrario. Facciamo il caso che, giocando, sia stato morso e, da allora, abbia paura di stare con gli altri cani. Attraverso un’esposizione graduale alla stessa situazione, in questo caso un cane simile a quello che lo ha morsicato ma, ovviamente, amichevole, possiamo un po’ alla volta far sì che superi i propri timori. Oppure: ha paura delle persone? Lo faccio giocare con qualcuno, dei “complici”, a una certa distanza, poi un po’ per volta posso farli avvicinare. In sostanza, si tratta di sfruttare le emozioni positive stimolate attraverso il gioco, inserendo gradualmente ciò di cui l’animale ha paura».
Quindi, con il gioco è possibile anche correggere comportamenti sbagliati, per esempio atteggiamenti aggressivi?
«Assolutamente sì. Prendiamo un cane che tira al guinzaglio, salta addosso. Si comporta così perché manca di autoregolazione: magari capisce di non doverlo fare ma non riesce a trattenersi come alcuni bambini iperattivi. Il gioco è un potente strumento di autoregolazione. Come sfruttarlo con un cane agitato? Per esempio, mentre stai giocando con la palla o stai correndo, a un certo punti rallenti e controlli che il cane ti stia seguendo. Se lo fai, lo premi, se non lo fa, riprovi ancora più lentamente, finché non segue il tuo ritmo. A quel punto provi a bloccarti e lo premi quando si blocca anche lui. Il premio può essere la continuazione del gioco, una carezza. In questo modo, impara ad autoregolarsi perché capisce che deve farlo se vuole continuare nel gioco e, automaticamente, non tirerà più o non salterà addosso alle persone come faceva prima. L’obiettivo dell’educazione è di arrivare ad avere un cane che si comporta da solo nel modo giusto a seconda del contesto senza dovergli dire “stai fermo”, “stai seduto”».
Prima parlava di bambini: una persone che si comporta nel modo corretto con i propri figli è anche un bravo «genitore» di cani.
«In genere sì. Ma, soprattutto, viceversa: un bravo “genitore” di cani è anche un bravo genitore con i bambini. Lo vedo con i miei amici cinofili. Il cane funziona da “palestra”. Quelli che sanno educare un cane, non lascierà, per esempio, che il figlio faccia tutto quello che vuole per poi arrabbiarsi all’improvviso per una marachella. Sono chiari e coerenti con le regole».
Una curiosità: è vero che i cani dopo un po’ si annoiano degli stessi giochini, pupazzetti?
«Dipende. Ci sono cani che si fissano su alcuni giocattoli e ignorano quelli nuovi. Altri che, invece, amano cambiare. Il trucco è non lasciarli tutti sempre a disposizione: due o tre sì, perché così impara a morsicarli senza distruggerli, ma gli altri vanno fatti sparire appena abbiamo finito di giocare. Per ricomparire quando è di nuovo il momento».
C’è un modo per far sì che il cane possa giocare da solo quando non siamo a casa?
«Lo puoi aiutare. Per esempio, prendi un Kong, quei giochi che si riempiono di cibo, e lo infarcisci con quello che vuoi, l’importante è che piaccia molto al cane: le prima 4, 5 volte glielo dai prima quando ci sei anche tu. Poi, solo prima di uscire di casa: In questo modo lo aiuti anche a superare i primi 20, 30 minuti della tua assenza, i più critici perché sono quelli in cui l’animale va in ansia. Se lo fai bene, arriverai al punto di non veder l’ora che te ne vada».
Un gioco da fare in montagna particolarmente divertente?
«Mah, il lancio e la rincorsa delle palle di neve piace a tutti, animali e umani. Quasi tutti i cani associano la neve con il gioco, ci si rotolano, saltano. Ma posso aggiungere una cosa importante che va al di là del gioco?».
Certo.
«Il maestro buddhista Thich Nhat Hanh dice: “Quando bevi tè, stai bevendo nuvole”. Perché da lì è arrivata la pioggia che ha fatto crescere le piantine, insieme al sole e alla terra. Senza contare che quelle foglioline ti “collegano” a chi le ha raccolte, così come la tazza dalla quale stai bevendo a chi l’ha realizzata… Quello che voglio dire è che la relazione con il cane è un portale: l’attraversi e non sei più quello di prima. Giocare, educare, ascoltare l’animale nel modo giusto risveglia una visione del mondo in cui tutto è interconnesso, interdipendente».
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