Alla fine del settembre 1941 per Tilda arrivò l’ordine di mobilitazione. Il padre di Irina lavorava già all’organo del ministero della Difesa La stella rossa, viaggiava lungo i diversi fronti e scriveva reportage famosi in tutto il Paese. Il marito Valentin era in guerra e da lui non arrivavano lettere. Per Irina separarsi da Tilda era chissà perché quasi più difficile che da Valentin. Oltre a Tilda in corridoio c’erano altri otto cani: inghiottiti dall’incomprensione dell’evento, quasi non si badavano l’un l’altro e rimanevano stretti alle gambe dei padroni una giovane cagna, un setter scozzese, dalla paura aveva perfino mollato un rigagnolo…

Tilda si comportava con dignità, ma Irina sentiva che era inquieta: la punta delle orecchie che tremava, batteva appena la coda sul pavimento sporco. Dall’ufficio di reclutamento uscì affranto il padrone di un cane pastore che si trascinava con la coda tra le zampe. Senza alzare la testa, l’uomo disse «Ci hanno scartati solo a vederci» e uscì con il suo cane al guinzaglio… Passando davanti a Tilda l’animale si fermò un attimo, manifestò interesse. a il padrone lo strattonò, e il cane docile proseguì dietro a lui.

Un vecchio che sedeva vicino teneva la mano sulla testa di un vecchio cane lupo. Era grande, quasi quattro volte più di Tilda. Irina prese Tilda in braccio il barboncino era di una taglia intermedia tra un cane da appartamento e un cane vero da guerra. Il vecchio guardò Tilda, sorrise, e Irina osò chiedergli quello che aveva nell’anima: «Non faccio che domandarmi come pensino di poterla sfruttare: lei un ferito dal campo non lo trascinerebbe via mai. Trovare un uomo è capace, e una borsetta di medicinali sì che riesce a portarla… Ma un ferito…».

Il vecchio guardò compassionevole ora già verso Irina. «Mia cara, i cani piccoli sono anticarro. Li addestrano perché si buttino sotto un carro armato e alla pancia gli legano una bottiglia Molotov… Davvero non lo sapeva?».

«Stupida, stupida, come ho fatto a non capirlo! Mi immaginavo, vedi tu, Tilda e la sua fascia con la croce rossa, che presta servizio con onestà, che corre per il campo di battaglia ritrovando i feriti, che porta aiuto… E invece scopro che non è affatto così: la istruiranno a infilarsi tra i cingoli, lei ripeterà questo facile trucco schizzando fuori ogni volta fino a che una volta per tutte si butterà sotto un carro nemico e salterà in aria insieme a quello».

L’ordine di convocazione era nella borsa di Irina. Glielo avevano recapitato quattro giorni prima, e Irina si era recata con la sua cagnolina al centro di leva il giorno e l’ora esatta designati. Prima di loro in fila restavano ancora due persone e due cani: il vecchio con il pastore tedesco e una donna con un pastore caucasico. Irina si alzò e, senza rimettere per terra Tilda che nel frattempo si era calmata, uscì dal corridoio.

Arrivarono a casa in quaranta minuti, camminando da via Begovaya fino in via Gorky. Irina salì fino al suo appartamento, fece su una piccola valigia di cose di prima necessità, poi rifletté un po e rimise tutto in uno zaino. Si era decisa a compiere un crimine e bisognava compierlo nella maniera meno vistosa per strada la valigia si sarebbe certo notata molto più di uno zaino.

Nello zaino aveva messo entrambe le ciotole di Tilda per l’acqua e il cibo e la lettiera. Tilda stava seduta vicino alla porta e aspettava: capiva che stavano per andare via.

E via andarono a piedi, verso via Pokrovka, inizialmente dalla madre di Valentin, la casa da cui veniva Tilda: Valentin era stato il suo primo padrone. Dopo qualche giorno si trasferirono da un’amica in via Piszovaya. Quasi ogni giorno Irina andava a casa sua di via Gorky, apriva con la chiave la cassetta delle lettere, ma continuava a non trovare quello per cui andava lì quasi ogni giorno: lettere dal fronte di Valentin. Per Tilda invece erano arrivati altri due ordini ed entrambi, sentendosi mancare per il terrore, Irina li aveva strappati a pezzetti minuscoli e poi gettati appena fuori dal portone direttamente in mezzo al cratere ghiacciato della tempesta che infuriava tutto quell’inverno, il primo inverno di guerra.

Suo padre tornava a Mosca di rado, affannandosi senza sosta ai fronti: era uno dei principali cronisti di quella guerra e di quella prima, di Spagna… Al primo rientro Irina gli raccontò subito della diserzione di Tilda. Lui in silenzio approvò. Andò a trovare il cane in via Piszovaya. Gli ultimi anni Irina e suo marito avevano vissuto nel grande appartamento del padre e Tilda aveva da tempo capito che il padrone capo di tutti era lui, il vecchio, e non il suo primo, il giovane.

Una mezz’ora rimase luomo in quella povera camera daltri, e Tilda gli sedeva vicino, fissando su di lui il suo magico sguardo animale.

Prima di uscire scherzò: «Bisogna darle un altro nome. Invece che Tilda Disie!».

Tilda, sentito il suo nome, sollevò il muso. Gli leccò la mano. Lei non sapeva che l’avevano liberata da una morte sotto un carro armato, al centro di un’esplosione infernale, e che ora lei sarebbe morta della sua morte, sopravvivendo sia alla guerra sia al suo padrone capo, e le sue ossa di barboncino sarebbero giaciute in un boschetto, deposte in un luogo visibile vicino a un grande masso accanto a un dirupo, non lontano dalla loro dacia…

E dove invece avrebbe deposto le sue ossa Valentin, nessuno lo seppe mai: lui risultò disperso, per sempre.

(traduzione dal russo di Margherita De Michiel)

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